La mia proposta per SteemContestItalia: No Matter What

Luca prova ad aprire gli occhi, ma non ci riesce.
Secrezioni incrostate sulle palpebre, muco nel naso. Il mal di testa non è una sorpresa, il resto sì.
Ieri sera, Luca ha violato una regola della comunità: non gli è consentito pensare ai fatti suoi per più di 45 minuti di fila, perché le risorse intellettuali scarseggiano ancora più dei viveri. Da quando l’effetto serra ha trasformato il pianeta in una immensa Somalia, con guerre e carestie endemiche, l’uso di qualunque risorsa è razionato. L’autismo è punito con la pena di morte. Chi si chiude troppo nel proprio cervello invece di produrre pensieri utili, viene punito con emicranie artificiali, scatenate da elettrodi impiantati alla nascita nel cranio di ogni cittadino.”
intro

I.
Luca, cosa pensavi?
Cosa ti ha risucchiato per ore, lo sguardo perso nel vuoto?
Cosa rincorrevi, invece di battere quei tasti?
Qualche decennio fa si chiamava Deep learning. Insegnare alle macchine a pensare. Sembrava impossibile.
Qualcosa fatto di circuiti e materia e nel contempo di matematica e teoria, di concreto e astratto, costruito pezzo dopo pezzo, come può imparare a pensare?

Eppure ci siamo riusciti. Abbiamo insegnato a una macchina cosa vuol dire ragionare, calcolare, cercare relazioni, interpretare le sensazioni umane, leggere i volti, indovinare pensieri. Riconoscere immagini, musica, il concetto di buono e di cattivo, il discernere giusto da sbagliato. Secondo quale etica? Non saprei.

Le macchine hanno sostituito i notai, gli avvocati, i dottori, gli scrittori, i registi, gli sceneggiatori, i musicisti. C'è un algoritmo per tutto. L'analisi predittiva è sempre più esatta. Non solo indovinare il libro che acquisterai, non solo prevedere bolle finanziare, ma chi commetterà un delitto e perché. E sventarlo. Impedire che si compia.

Internet. Quello strano mondo parallelo, ha nutrito gli algoritmi che ormai sanno tutto di noi. Quasi tutto.
È questo il mio lavoro. In un mondo assurdo eppure ordinario, nutriamo le macchine dei nostri cervelli. Incanaliamo pensieri strategici in contorti algoritmi intelligenti, in grado di pensare da soli, ma mai soddisfatti.

Ma non è schiavitù, no. È un lavoro. È una scienza. Siamo scienziati, ma non sappiamo a cosa lavoriamo.

Cosa cercavi Luca?

Lo chiedo a quel Luca che si è perso, mentre intravedo una flebile luce al di là degli occhi gonfi.

Le labbra secche, il sapore amaro eppure dolce del sangue asciutto.

Una sensazione nuova. Una molla che scatta da qualche parte della pancia. Un perdere la cognizione di tutto e non poter farne a meno.

Un abbraccio, a luci spente, schiena contro petto. Avvolgi il mio corpo sconosciuto e mi sento a casa. Come se le avessi sempre sentite, attorno a me, quelle braccia forti e gentili.
Mi stringi come piace a me. Come un po' mi mancava. O forse non avevo mai saputo che qualcosa potesse mancare così tanto. Quell'intimità che solo due sconosciuti possono avere. O due che si conoscono così tanto da non riconoscersi ogni volta. Quella sensazione di intensa novità che fa vibrare ogni centimetro di te. Quel non aver bisogno di tante parole, che dicono tanto anche due paia di labbra che si incontrano e sfiorano, assonnate e intimidite, un po' stordite e non del tutto consapevoli di ciò che sta accadendo. Ma cosa sta succedendo? Un bacio, un abbraccio nella notte. Due baci, esitanti ma sicuri. Baci. Al momento giusto, quando ne ho più bisogno.

Non so se sei la persona giusta, però.
Forse no. Forse mi hai solo tirato fuori al momento giusto da un vortice negativo di situazioni, sentimenti, delusioni. Violenza, orrore, rabbia, depressione, automatismi inauditi ma sopportati. Perché è così.

Quando ero sull'orlo del baratro e non riuscivo a fare un passo indietro, tu mi hai portato via con te. E ho ripreso a respirare. A mettermi sui binari giusti, i miei. Di nuovo in gioco, di nuovo io. A questo pensavo, quando avrei dovuto lavorare. I miei 45 minuti sono diventati ore. Pensavo a te. Per ricordare che sei reale. Per ricordarmi che devo trovarti, no matter what.

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