Se solo avessi potuto farlo, avrei voluto pubblicare questo articolo
su una “Rubrica musicale” del 27 gennaio 1967
Non siamo più negli anni '50, ma nel 1967 ed i circuiti commerciali della fiorente industria discografica italiana passano obbligatoriamente per le manifestazioni canore, le gare “all'ultimo voto” ed il famoso Festival di Sanremo. Tra i partecipanti di questa edizione c'è Luigi Tenco, un esponente della cosiddetta “scuola genovese” che riunisce dei musicisti capaci di scrivere anche le liriche e di interpretarle personalmente. Questa caratteristica li distingue dai semplici “parolieri” che scrivono qualche prevedibile rima destinata ad un brano di musica leggera.
Insieme a cantautori come Gino Paoli, Umberto Bindi, Bruno Lauzi e Fabrizio De Andrè, anche il giovane Tenco è destinato a lasciare una traccia indelebile nella Canzone Italiana.
Nonostante un brusco cambiamento voluto all'ultimo momento da una “austera” censura, il testo di “Ciao, Amore, ciao” che Luigi Tenco ha cantato sul palco della Città dei Fiori, parla alle coscienze degli italiani che finora hanno preferito ignorare le problematiche sociali o i rischi legati alle proprie scelte personali, anche quando sono espressi in una forma poetica.
La canzone d'autore rimarrà ancora a lungo un fenomeno di nicchia. Solo poche radio manderanno coraggiosamente in onda un genere deliberatamente difficile da canticchiare e, per scelta, poco commerciale. Fra molti anni, nel 2020 forse, qualcosa sarà cambiata in meglio , almeno apparentemente.
Testo e fotografie di @adinapoli (s)
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