EMIGRAZIONI RAVVICINATE DEL TERZO TIPO (part 1)

Premessa

Vi è mai capitato di entrare in contatto con un UTO (Unidentified Thinking Object), ovvero un oggetto pensante non identificato?
Credo proprio di Si. Magari lo siete stati anche voi…


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Io è così che mi sono sentita molto spesso, soprattutto in Italia.

OGGETTO. Mi sono spesso sentita “una cosa” o al più uno strumento, in diverse situazioni istituzionali e lavorative: la maggior parte di ciò che mi veniva riflesso dal sistema con cui mi relazionavo sembrava non appartenere alla sfera umana.
Avete presente le emozioni, le affezioni, le motivazioni, le potenzialità, le passioni, la creatività?
Tutta roba trascurata, ignorata o addirittura screditata nel sistema medio italiano.

PENSANTE. Sì, lo sono sempre stata, come tutti lo siamo per natura d’altronde.
Ma sapete, la cultura è la nostra seconda natura, siamo immersi nella nostra cultura come i pesci nel mare… e se la cultura, piuttosto che essere co-costruita, viene subliminalmente e subdolamente imposta da chi comanda…

“E’ chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce; anzi è un pesce e come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare…Com’è profondo il mare…
Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche:
Il pensiero come l’oceano non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare…
Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare”
-Lucio Dalla

NON IDENTIFICATO. Già… non ho trovato concreti riscontri tra ciò che sento di essere e ciò che il mio rapporto con la società mi ha concesso fin’ora di essere.
Parlo in modo particolare del gap tra la mia identità professionale e la mia realtà professionale: il sistema italiano sembra avermi rimandato continui feedback negativi su ciò che posso permettermi di essere e di fare, su ciò a cui posso aspirare.
Io mi sento una persona capace, intelligente, creativa, piena d’amore e aperta alle possibilità.
Ma poi nel concreto, cosa ho raggiunto?

Vi parlerò in questo e nel prossimo post delle mie osservazioni sulla questione EMIGRAZIONE ITALIANA, prendendo come esempio rappresentativo la mia personale esperienza.
Qui proverò a farvi riflettere su alcune delle premesse, nel prossimo su parte delle conseguenze.

L' Emigrazione in Italia

Per introdurre il tema, vi passo una piccola perla grezza di satira che poco tempo fa ho dedicato al sistema universitario e di inserimento al lavoro italiano:

“Un Laureato qualunque, dopo aver passato un tempo indeterminato alla ricerca di un Buon Lavoro in Italia è in diretta ora”:

Mettendo da parte il resto di questo capolavoro di film, osservate questa scena.

Aereo.
Valigia.
Sguardo smarrito, pensieroso.
Solitudine. Unico compagno di questo viaggio l’impersonale voce aereoportuale e “il suono del silenzio” che echeggia tra tutti i pensieri che intrecciano passato e futuro nel qui e ora dell’incerto presente.

Ma qui siamo già in viaggio…

Torniamo dunque un attimo indietro, alla fase che precede la scelta.


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Anche qui vi mostrerò qualcosa che possa aiutarvi ad accordarvi con i pensieri e le emozioni che mi spingono a scrivere su questo argomento.

Ecco a voi parte della “Indagine 2017 sui diplomati di master universitario ad un anno dal titolo” che chi ha conseguito un titolo di Master Universitario di secondo Livello è stato invitato a compilare:


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“Copincollo” per voi, senza cambiare una parola (ma evidenziandone alcune), gli OBIETTIVI (che a suo dire) si propone l’indagine e LA DOMANDA attraverso cui (a quanto pare) essi possono essere raggiunti:

obiettivi, estrapolati dall’INTRO all’indagine:


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unica domanda che indaga l'attuale condizione lavorativa:

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Aggiungo, per chi non lo sapesse, che ogni anno AlmaLaurea, conduce delle “indagini” da cui vengono estrapolate statistiche sulla condizione occupazionale dei laureati italiani che il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, utilizzano (spero insieme ad altri tipi di analisi) per strutturate nuove politiche formative e di inserimento al lavoro.

Vi rendete conto di quanto sia grave che un Ente Formale, a servizio del Ministero ti chieda di considerare le suddette forme di lavoro, in un’indagine strutturata per chi ha (come minimo) un titolo di laurea triennale, un titolo di laurea specialistica, e un titolo di master post lauream di secondo livello?

Io mi sono sentita ESTREMAMENTE OFFESA…E poi mi tocca anche leggere…


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http://www.huffingtonpost.it/2017/08/31/

...

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Le conseguenze non solo sono relative alla diffusione di informazioni fallacee (con tutto quel che ne consegue), ma anche alla contemporanea NORMALIZZAZIONE nel tempo di condizioni che non dovrebbero in nessun modo passare in sordina.

Qualunque pratica sociale, nel momento stesso in cui diviene socialmente accettata, si fa, per ciò stesso, anche legittima.

E non è, come si potrebbe pensare, la tipologia di azione che ne determina l’accettazione sociale o meno, ma la modalità e il tempo con cui le cose sono introdotte e normalizzate che facilitano l’evitamento di reazioni e opposizioni.

Noam Chomsky in questo senso parla della teoria della rana bollita:

❝ Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.❞

Qualcuno si chiederà quale temperatura abbia raggiunto il mare che bagna lo stivale... qualcun'altro starà scappado via dal pentolone perché pensa che prevenire sia meglio che curare, qualcun'altro probabilmente è già cotto a puntino...!

Ma andiamo al dunque: cosa quindi potrebbe accomunare una buona parte degli Emigrati Italiani all’estero?

Ciò che è emerso dalle mie osservazioni è l’intreccio tra il desiderio di migliorare la qualità della propria vita e realizzare i propri obiettivi, con l’incapacità di continuare a tollerare la frustrazione di dover lottare giorno dopo giorno contro i mulini a vento in Italia.

In questo post, ho voluto farvi riflettere su alcune delle premesse che portano i più o meno giovani del nostro paese a emigrare (volenti o nolenti).
Nel prossimo post approfondirò 3 categorie principali di emigranti, accennando alle matrici comuni, ma soffermandomi in particolare su quella a cui appartengo io e che ho voluto chiamare EMIGRAZIONE DEL TERZO TIPO.


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Img 1: costruzione dell'autore utilizzando un'immagine del film "incontri ravvicinati del terzo tipo" e un'immagine di una delle sculture di Bruno Catalano sull'Emigrazione

Img 2: Foto dell'autore

Img 3: fonte Wikimedia Commons

Img 4: Fonte immagine pubblico dominio riutilizzabile Google

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