Il problema del Vesuvio

"Signori, noi abbiamo rapiti i fulmini al cielo;
ma quel che è e quel che segue a poca profondità
sotto questa terra che tutti calpestiamo
e dove tutti abbiamo vita e morte,
è ancora un gran mistero per noi.
Dio mi guardi di presumer tanto di me stesso,
ch'io ardisca promettermi di sollevare questo grave velo,
dove mani sterminate più vigorose
sentirono pur troppo la loro impotenza."

(Discorso pronunciato all'inaugurazione dell'Osservatorio Meteorologico Vesuviano (1845) da Macedonio Melloni, un fisico e direttore dell'osservatorio)

L’ultima eruzione del Vesuvio risale al 1944. Anche a causa della guerra, quell’evento è stato ben documentato. Sul posto c’erano diversi cineoperatori, oltre naturalmente agli scienziati. L’eruzione dura diversi giorni: 26 morti in tutto, case e infrastrutture distrutte, raccolti persi. Napoli viene risparmiata, il vento tirava verso sud. I centri più colpiti sono quelli di Nocera, Pompei, Scafati.
Dal marzo 1944 il Vesuvio non ha più eruttato, il condotto lavico è ostruito.


L'eruzione del 1944
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Di falsi allarmi ne sono stati lanciati diversi in questi anni, spesso con titoli sensazionalistici sui giornali nazionali. Il Vesuvio si risveglierà, non c’è dubbio. Nel frattempo, dal 1944 a oggi sono stati costruiti centri abitati ai suoi piedi, contro ogni regolamentazione o semplicemente contro ogni buon senso.
Fortunatamente negli anni è nata anche una rete di monitoraggio del vulcano sempre attiva, e un piano ben strutturato della Protezione Civile, il Piano Nazionale di emergenza per il Vesuvio.

Ultimato nel 2014 dopo un decennio di lavoro, il piano sostituisce il precedente, definendo una nuova zona rossa, ovvero l’area da evacuare in caso di eruzione. Tale zona riguarda 25 comuni sparsi tra le province di Salerno e Napoli. Questa zona è ulteriormente suddivisa in due. La zona 1 è quella più vicina al vulcano: qui arrivano i flussi piroclastici, ossia miscele di roccia e magma incandescente sparate in quota dal vulcano, che ricadono successivamente sulle sue pendici e si muovono ad altissima velocità, distruggendo ogni cosa che incontrano. I flussi piroclastici furono i responsabili della distruzione di Pompei nel 79 d.C.
La zona rossa 2 circonda la precedente. Qui possono verificarsi piogge di materiali piroclastici (lapilli), che possono danneggiare seriamente i tetti degli edifici, e naturalmente mettere in pericolo l’incolumità della popolazione. La zona rossa (1+2) verrà tutta evacuata in caso di eruzione. È importante sottolineare che i confini di queste zone non sono stati stabiliti solamente per mezzo di pure valutazioni scientifiche (direzione dei venti, struttura del territorio…), ma anche con considerazioni economiche e soprattutto logistiche, organizzative. Questo per poter operare al meglio in caso di emergenza.


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Qual è il rischio nell’area del Vesuvio?

Innanzitutto bisogna definire cosa è il rischio. In generale è una quantità “astratta” che è funzione della pericolosità della zona, della vulnerabilità e del valore esposto. La pericolosità è una probabilità: quella che in un dato istante temporale si verifichi un certo evento. Vulnerabilità e valore esposto dipendono invece da fattori antropici: urbanizzazione, qualità degli edifici e delle reti di trasporto di persone e beni, entità della perdita di vite umane.
Per la zona del Vesuvio il rischio è tra i più alti del mondo, sia perché l’area è densamente popolata, sia perché il vulcano è pericoloso. Negli ultimi settant’anni la vulnerabilità è cresciuta notevolmente.

Come già detto, sono stati sviluppati anche nuovi sistemi di monitoraggio, in grado di prevedere una possibile eruzione entro un certo lasso di tempo. Non è possibile sapere con precisione assoluta se e quando l’eruzione si verificherà. I segnali di un fenomeno eruttivo sono noti: sismicità, emissione di gas dal vulcano, rigonfiamento dello stesso, alterazioni della composizione dell’acqua nelle falde. Se questi segnali saranno ritenuti sufficientemente significativi, scatterà l’evacuazione della zona rossa.


vesuviomonitor.png
Immagine dell'autore realizzata grazie a questa mappa



Le eruzione più deboli sono quelle più frequenti, e meno pericolose. Al contrario, le catastrofi immani sono rarissime. Il piano di evacuazione non è pensato sulla base di uno di questi due estremi, perché ha ovviamente poco senso evacuare una zona così vasta senza un grande pericolo, e allo stesso modo di fronte ad eventi estremi difficilmente ci si potrebbe proteggere. L’eruzione modello è quella del 1631: dopo un secolo di silenzio il Vesuvio esplose, lanciando materiale fino a 13 Km di altezza. I danni furono enormi. Sulla base di questo evento, il piano di evacuazione della zona rossa prevede un trasferimento di ben 700.000 persone entro 72 ore dal lancio dell'allarme. In realtà, considerata la natura estremamente improbabile di un evento uguale a quello del 1631, si pensa che l’eruzione che probabilmente avverrà permetterà al 90% della popolazione che vive nella zona rossa di rientrare nelle proprie case appena finita l’emergenza.

In caso di allarme dove andranno le persone evacuate? Probabilmente molte da amici e parenti. I rimanenti saranno assistiti nei comuni e regioni gemellate con il comune campano di provenienza. Ogni regione di destinazione allestirà strutture adeguate.

E se si trattasse di un falso allarme? Meglio chiamarlo cessato allarme. Ogni previsione ha un margine di incertezza anche se vengono usati gli strumenti di rilevamento più avanzati che la scienza mette a disposizione.
Quello che conta è la consapevolezza.

70 anni di sonno sono pochi. Ne devono passare almeno 10000 senza eruzioni perché un vulcano sia considerato in stato di quiescenza. Chi abita vicino al Vesuvio deve esserne conscio. Oltre che all’incolumità personale, è necessario riflettere sul rischio di abitazioni, aziende, sistemi di trasporto. Tutte cose che rischiano di scomparire anche se la popolazione si salva. Ecco quindi che bisogna fermare la costruzione di edifici residenziali nelle zone più vicine alla montagna. Accettare il fatto che il Vesuvio è un vulcano attivo.

Non solo il Vesuvio
Nel continente europeo, l’Italia si contende con l’Islanda il primato per la densità di vulcani attivi sul suolo nazionale. In totale il numero di persone esposte si aggira attorno ai due milioni. Un piano di evacuazione è stato elaborato anche per i Campi Flegrei e per Ischia.
Il problema inoltre è anche politico: meglio aspettare più tempo per avere segnali più precisi di un’eruzione, e quindi un minor margine d’errore, ma con un rischio più elevato? Oppure è meglio evacuare anche quando i segnali sono minimi, rischiando seriamente di evacuare inutilmente centinaia di migliaia di persone? Questa è una domanda a cui non può rispondere la scienza da sola. Serve, appunto, una risposta politica.

L'Italia in generale è un paese ad alto rischio, non solo vulcanico. Abbiamo esempi tristemente noti di terremoti, frane, alluvioni. Allora ha senso parlare di catastrofi naturali? Forse in alcuni casi sarebbe meglio evitare questo termine, visto che a volte le catastrofi non sono dovute all'evento naturale in sè, quanto piuttosto alla negligenza umana.

Fonti:
http://www.ov.ingv.it/ov/it/vesuvio.html
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/rischio_vulcanico.wp
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS37087
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_pde.wp?contentId=PDE12771
http://www.ov.ingv.it/ov/it/storia-dellosservatorio.html
Le Scienze n.552


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Immagine CC0 Creative Commons, si ringrazia @mrazura per il logo ITASTEM.
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