Fatti e misfatti. E corbellerie…

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Lavoravo al computer, concentrato. Eppure… lo sentii entrare.

Era un open space, gente che andava e veniva. Ero abituato a quell’andirivieni. Non mi distraeva. Restavo concentrato. Invece, alzai gli occhi. Quasi sospettoso, timoroso. Preconizzando in qualche modo qualcosa di …fastidioso…

Era lui. Era lì. Ad una decina di metri da me, che si avvicinava ad un collega della divisione marketing per parlargli.

La sua presenza mi metteva a disagio.

Si voltò, vide che lo guardavo e mi fece una sorta di inchino con la testa per salutarmi. Risposi accennando un sorriso.

Era uno di quegli uomini che, se lo incontri da solo di notte, per strada, pensi ”Oddio, è fatta. Questo mi ammazza, prende soldi, orologio e se ne va tranquillamente, senza neanche scappare!”

Cinquant’anni, un metro e settanta, tozzo, braccia corte e mani grosse. La testa direttamente attaccata alle spalle. Solo un accenno di collo taurino… Capelli folti, neri pettinati all’indietro su una fronte bassa. Molto bassa. E ciglia attaccate al centro e tagliate in modo da conferirgli, semmai ce ne fosse stato bisogno, un’espressione fissa, tra irrisoria, arrabbiata e vendicativa.

Il naso, stranamente aquilino, in qualche modo stonava in quel viso gommoso. Su quelle grandi labbra carnose. Si accordava però con gli occhi, perennemente socchiusi. Come quelli di chi è concentrato, di chi soppesa il da farsi… Come a nascondere meglio la sua identità. Non riuscivi a leggerne i tratti, a individuare i segni di qualche moto interiore, niente.

Sempre vestito in giacca e cravatta. Sempre lo stesso vestito grigio chiaro. E le scarpe un po’ sfondate di chi cammina male. Ma lucide. Ah… e l’anello d'oro al mignolo…

Non si tratta di essere lombrosiani… Ognuno di noi fa i conti col suo immaginario. E quella, per me, era la figura di un boss. Un boss che metteva paura.

Cambiò direzione e venne direttamente da me.

”Buongiorno Marco. Tutto bene? Mi hanno incaricato di accompagnarti alla concessionaria di auto. Andiamo dopo pranzo?”

La sua voce era pulita. Bella. Di timbro tenorile ma non forte. E il leggero accento lombardo gli conferiva una particolare e delicata cadenza melodica. Aveva un modo molto garbato di interloquire e il ritmo misurato dei suoi gesti era molto leggero ed elegante.

Ecco perché mi metteva a disagio. Era ...due in uno…!!

-----o-----

Tra sette mesi sarei diventato dirigente. Direttore marketing della costituenda divisione “formaggi” della Fiorucci Salumi. A trentatré anni. Bel colpo! Dunque mi spettava la macchina aziendale…

Una carriera fulminante! Ero entrato, solo un anno prima, come quadro…

Diciamo che, negli ultimi due mesi, avevo azzeccato un paio di analisi e previsioni, mi ero messo particolarmente in luce, non avevo avuto paura… Insomma…

Ero responsabile della divisione ”stagionati”: culatello, bresaola, speck, coppa, pancetta,… No, i prosciutti no. I prosciutti facevano il 50% del fatturato e li seguiva direttamente il Direttore marketing. Poi c’era chi seguiva il reparto mortadelle, chi i salami, chi i prosciutti cotti,… e chi i formaggi, che all’epoca facevano ancora capo a quell’unica direzione.

La mattina scendevo in stabilimento e seguivo i processi produttivi.
Guardavo, prendevo nota, misuravo… Mangiavo… Un paio d’ore. Poi si tornava negli uffici e si lavorava sui dati raccolti, sulle strategie, sugli eventuali correttivi da apportare. E si facevano analisi di mercato e strutturavano ipotesi di campagne pubblicitarie. Si individuavano i concept da passare alle agenzie…

Eravamo sette. Giovani e forti. …I Magnifici 7…!!

Arrivavano continue lamentele dagli agenti di vendita: ”La pancetta non si vende, è troppo cara!”

”Certo che è cara” rispondeva il Presidente, che metteva bocca su tutto. ”I nostri concorrenti la producono là per là, in macelleria… Hanno giusto il costo della materia prima… Noi abbiamo un’azienda… Un sacco di costi generali che incidono nella formazione del prezzo… Non ci possiamo fare niente… Datevi da fare, animo! Fatelo capire ai negozianti: il nostro è un prodotto migliore, garantito… Che saranno mai un paio di cento lire in più all’etto…!!”

Ma ’sta pancetta non si vendeva!

I costi generali pesavano davvero molto.
La maggior parte dei prodotti del mio reparto era ad alto valore aggiunto e di alto prezzo. Ne assorbivano bene l’incidenza. Ma la pancetta… L’incidenza dei costi generali ne raddoppiava il costo…

Ne vendevamo 700 chili a settimana.
Secondo una proiezione ponderata la nostra quota di mercato avrebbe dovuto essere almeno 4 volte tanto. Uno smacco.

E ne producevamo quasi 8 tonnellate! Di cui sette rimanevano invendute e dopo qualche giorno venivano dirottate ad altre lavorazioni. Uno spreco di tempo e di denaro.

Finché il Presidente prese una decisione drastica. Chiamò me e il responsabile del reparto salami e, in quattro e quattr’otto ci disse ”Da domani, Marco, quando arriva la carne, vendi direttamente le pancette al reparto salami. Senza lavorarle. Al costo. E le pancette non si fanno più.”

Uuhmm… non si fanno più le pancette… Era qualche giorno che ci pensavo… Decido che è arrivato il momento di gettare l’amo…

”Presidente, ma se non produco più le pancette, l’incidenza della parte dei costi generali di loro competenza la devo ripartire sugli altri prodotti... sarò costretto ad alzarne il prezzo…”

”Marco… che vuoi che siano qualche decina di lire in più di costo sugli altri prodotti… Lascia il prezzo com’è. Avremo un ricavo leggermente inferiore, ma sono briciole…”

Ok. Il primo punto era andato. I prezzi degli altri prodotti non si toccavano.

Ora si trattava di passare alla fase due.

Parlo con il responsabile del reparto salami e la butto in caciara

“Dammi il tempo di organizzarmi… Devo rivedere i turni di lavorazione, reimpostare i programmi, avvisare gli agenti di vendita… Iniziamo la prossima settimana, dai. Non questa, quest’altro lunedì.”

E lui accetta.

Scendo e, senza dire niente a nessuno, mi accordo con il Capo reparto. Il direttore di produzione degli stagionati.

Franchino, si chiamava così, l’aveva presa proprio male…
Erano settimane che si ventilava l’ipotesi di cessare la produzione delle pancette e l’aveva presa come un fallimento personale. Come la perdita di una persona cara…

Quando gli esposi il mio piano gli brillarono gli occhi.
E rischiò con me.

Producemmo le pancette e le mettemmo in vendita senza caricare l’incidenza dei costi generali che, per decisione del Presidente, era stata redistribuita sugli altri prodotti del reparto. Comunicammo agli agenti il nuovo prezzo e… aspettammo di vedere i risultati…

Due settimane dopo, il venerdì pomeriggio, come sempre, c’era la riunione di vertice: il Presidente, la direzione marketing al completo, il direttore vendite…

Nessuno sapeva. Nella direzione marketing non ne avevo parlato con nessuno. Il direttore vendite aveva uno sguardo generale e non entrava mai in certi particolari.

Quando fu il mio turno il Presidente mi chiese, semplicemente, se la questione pancette fosse a regime. Il fatto che le passassi direttamente al reparto salami creava problemi di riorganizazione del reparto? Gli altri prodotti come andavano?

”Gli altri prodotti vanno bene, Presidente. Il leggerissimo aumento dei costi dovuto alla redistribuzioni della parte dei costi generali non più assorbita dalle pancette è stato ampiamente coperto dal leggero aumento delle vendite.”

”Bene. Lo supponevo. Vuoi relazionarci tu…” e si rivolse ad un mio collega per passare ad un altro argomento.

”Presidente…”
”Marco?… Dimmi, c’è qualcos’altro?”
”Si, Presidente. Visto che i costi generali sono stati distribuiti sugli altri prodotti, beh… abbiamo continuato a produrre le pancette….”
”Ma…”
”…e le abbiamo messe in vendita a un prezzo più basso, Presidente. Ma con margini ampiamente maggiori di prima. …Presidente…”

Il Presidente mi guardava con un’aria che era un misto tra stizza (ma come si permette questo qui di disattendere una mia disposizione?!) e stima (ma guarda ‘sto pischello che cazzo di coraggio… mettersi contro una mia decisione…). E curiosità (vojo proprio vedè che ha combinato…). Il Presidente parlava in romanesco…

”Ventidue tonnellate, Presidente. Negli ultimi sette giorni ne abbiamo vendute ventidue tonnellate.”

-----o-----

Quel pomeriggio, due in uno mi accompagnò alla concessionaria. Sul raccordo anulare, l’anello stradale che circoscrive Roma.

Mi presentò al concessionario e poi, gentilmente e scusandosi, mi lasciò per andare a prendere l’autostrada e rientrare a Milano. Era responsabile vendite di alcune provincie lombarde.

Al mio ruolo spettava la Lancia Thema. All’epoca, una macchina di gran lusso e …prestigio, come continuava a puntualizzare il concessionario con aria ammiccante. Come a dire ”Con questa, arrivando in fabbrica, farà la sua porca figura. E’ l’auto di un vero manager!”

Ma potevo scegliere l’auto che volevo. Purché non di prezzo superiore.
C’era anche la Fiat Croma (”Naa… niente a che vedere… se posso darle un consiglio…”). E io continuavo a girellare, mani in tasca e naso all'aria, tra una una macchina e l’atra. C’era di tutto.

Il tipo mi seguiva, ingessato nei suoi vestiti e nei suoi modi, tipici del venditore.
Completo nero un po’ stretto per quel corpo atletico, camicia col colletto rigido e di colore diverso. E cravatta troppo corta e con un nodo gigante.

Ma i giovani hanno piedi più grandi rispetto a quelli della vecchia generazione? Allora andavano i mocassini con la fibbia. E la punta allungata e quadrata in cima. Due valigie…!

Lo guardavo muoversi intorno a me, che cercava di individuare da un mio gesto o da uno sguardo, da una frase, quale auto potesse interessarmi. Per partire con le sue litanie”Questa ha un motore che… da 0 a 100 in sette secondi!” … “Ah… questa si… questa fa proprio per lei… è ampia, comoda…”

E più si muoveva, più parlava, meno lo ascoltavo. Lo guardavo con curiosità. Non sentivo cosa mi diceva ma cercavo di capire cosa pensasse.. chi fosse… perché vestiva così, perchè mi parlava così…

Era Ingessato e buffo. In un vestito e in un ruolo che non sembrava il suo. Come i calciatori alle interviste. Che sembrano tutti dei manichini. Dei manichini gonfiabili che ...stanno per scoppiare. E che sembra lo sappiano anche loro e, da un momento all’altro, ti aspetti che, all’ennesima domanda, replichino strappandosi i vestiti di dosso dicendo ”E mo basta, me so’ rotto li cojoni! Famme levà ‘sti vestiti che me rimetto i pantaloncini e me rimetto a giocà! Ma che ne so io…?! Dateme un palloneee…!!”

C’era un Duetto rosso, l’Alfa Romeo Spider del film “Il laureato”. Un mito. Il film e la macchina.
Mi sono avvicinato e fermato a guardarla.
”Eehh… vabbè” ha fatto lui. Come a dire ”T’ho capito a te! Tu non vuoi far colpo solo in fabbrica, ma anche con le donne! Co’ ‘sta macchina da acchiappo…”

Bella.
Ma l’occhio mi era già andato su un’altra macchina particolare. Un vecchio Maggiolino della Volkswagen tutto rimesso a nuovo. Splendido anche quello.

Il tizio mi ha guardato con aria interrogativa. ”Ma… Boh…”

”Bella eh?” gli faccio.
”Beh, si, …nel suo genere…”

E poi, spostandomi, ho notato un’altra vettura d’epoca, una Fiat 130 familiare. Chi ha letto le mie storie sa quanto mi piacciono le station wagon… Ne ho avute tre!

”Bella, si” fa lui, precedendomi. ”…se vogliamo tornare alla Thema… Insomma, se vogliamo scegliere la macchina…”

Pensava stessimo perdendo tempo. Che era ora di tornare a bomba. E, benchè non lo abbia fatto, ho percepito il suo gesto: piegare il braccio, tirare su la manica e guardare l’orologio. Il messaggio era chiaro ”Aho… se sta affà ‘na certa… daje ’n po’! Mica potemo perde tempo a vedè tutti sti catorci… Torniamo all’acquisto…” Come se lo avesse fatto. Come se lo avesse detto...

”Uuh… guarda… una vecchia Topolino… che fica… quasi quasi… E la Fiat Seicento… Cavolo, ma è come nuova… Io ho avuto una Seicento, sa?…”

”Va bene, faccia con comodo. Io ho un attimo da fare in ufficio. Quando ha fatto mi raggiunge… Faccia, faccia con comodo:”

E se n’è andato schifato.

La macchina non l’ho presa.
Ho pensato che la Thema non mi serviva. E che le altre macchine non avrei potuto comprarle perché ...non avrebbero capito… Figurati… Un Maggiolino

Ah… e non ho accettato nemmeno il posto di dirigente. Due mesi dopo mi sono licenziato.

Volevo fare l’architetto.

E comprarmi la macchina che mi piaceva di più. Fosse anche la Topolino.

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