Il Giusto e Provvidenza (seconda puntata)

I due sposi vivevano in un grande appartamento centrale, con lustri pavimenti di marmo e arredamento moderno, ma rigorosamente allineato con i dettami della buona piccola borghesia. Un ingresso spazioso con il telefono a muro e un mobiletto indefinibile su cui si ergeva uno specchio decorato. Il doppio salone, metà del quale era adibito a sala da pranzo, aveva, oltre alle classiche poltrone frau e divano analogo, il buffet e il controbuffet, due mobili che si guardavano, uno dei quali dotato di specchio, l’altro di cassetti.
La padrona di casa sembrava una ragazzina, in fondo lo era, snella e scura, un vitino davvero di vespa separava un seno piuttosto generoso e una appena accennata morbida rotondità dei fianchi. Appariva timorosa e imbarazzata, nei suoi occhi neri profondi si coglieva la preoccupazione di non essere all’altezza. Il marito appariva molto soddisfatto nel mostrare ad Alfredo le sue proprietà : la grande camera matrimoniale arredata in stile chippendale, lo studio severo pieno di libri di diritto, una stanza ancora vuota (per il futuro bambino), il bagno rifinito in rosa e la giovane moglie.
Mia zia Nidia, donna piuttosto emancipata per l’epoca, notò che il Giusto elencava beni materiali e consorte con lo stesso tono e, soprattutto, con la medesima considerazione.
“Su, Provvidenza, ora ci mettiamo a tavola e tu fai vedere al mio amico e alla signora quanto sei brava. No, perché, se non lo fosse stata, mica l’avrei sposata, vero, Alfredo?” concluse ammiccante.
Alfredo era piuttosto perplesso e guardava la moglie, il cui piatto meglio riuscito era la pasta a burro, preoccupato. Sapeva che certi discorsi proprio non li concepiva e la vedeva che stava “friggendo” sulla sedia per non uscire con qualche commento.
La giovane signora Gidi, intanto, si affannava a servire gli antipasti a base di pesce e verdure, davvero deliziosi, senza proferire parola.
Mia zia le si rivolse con affabilità. “Provvidenza, permetti che ti dia del tu, sei così giovane. Davvero sei molto brava, complimenti”. La ragazza accennò una specie di inchino e Alfredo la guardava esterrefatto.
“Ma dimmi un po’, tesoro- proseguì Nidia- come vi siete conosciuti con Mario?”.
Provvidenza avvampò. Nonostante il suo colore olivastro, si vedeva bene che il rossore le era salito alle guance e non parlava.
“Le rispondo io- interloquì il Giusto- Ero andato in trasferta a Catania come ispettore e, parlando con il capufficio, venimmo all’argomento matrimonio. Lui mi chiese com’è che non ero ancora sposato e io risposi che le donne in Toscana erano troppo libere, indipendenti. Anche poco serie, spesso”. Mia zia saltellava sul bordo della sedia. “Così lui mi ha detto che aveva una figlia di diciannove anni, seria, senza grilli per la testa e sicuramente vergine. Ci siamo accordati, sono andato a vederla e mi è piaciuta. L’ho trovata carina e soprattutto modesta, non come quelle sgallettate delle mie collaboratrici di Firenze. Con suo padre abbiamo concordato le cose fondamentali, tre mesi dopo ci siamo sposati”.
Mia zia non potè trattenersi. “Mi scusi, Mario, quali sarebbero le cose fondamentali?”. “Signora, la dote, la divisione delle spese del matrimonio e, ovviamente, la data”. “Ah” commentò Nidia. Che rimase poi muta per tutta la sera, gustando le prelibatezze cucinate dalla giovane sposa. Le uniche, poche parole, furono di elogio per la cucina. Mentre i pensieri erano di rabbia nei confronti del Giusto e di commiserazione per la ragazza. (continua)
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