CRONACHE DI CIVITOPIA: scene di vita cittadina cap. XI

PRECARIATO, LAVORO IN NERO E VANITÀ
La malattia degli anziani coniugi si era rivelata più lunga e costosa del previsto e di conseguenza le finanze dei Malinverni non erano più quelle di un tempo. La famiglia non s'era comunque ridotta alla povertà, grazie ai rispami di una vita dell'anziana coppia: soltanto non potevano più dirsi i piccolo-borghesi di un tempo che quasi quasi rasentavano l'agiatezza. Ma finchè Mattia avesse conservato il suo lavoro alla fabbrica di camicie, finchè qualche sporadico, ma volenteroso studente, avesse concordato giorni e orari per lezioni di piano con Marilia e finchè qualche sporadica abitazione non strettamente fautrice del faidate anche da parte di emeriti inesperti avesse contattato Aurelio per una riparazione dell'obsoleto impianto elettrico, la barca proseguiva senza imbarcare acqua. Per questo motivo il più giovane Malinverni era il meno adatto al disbrigo delle faccende fuori casa: non sia mai il telefono squillasse e vi si trovasse all'altro capo un aspirante cliente. La precarietà era il secondo motivo che gli impediva di convolare a nozze con la sua storica fidanzata, con cui usciva sin dal suo diciottesimo compleanno: oltre alla speranza di vedere i genitori migliorare nelle loro condizioni di salute e così partecipare lietamente al suo matrimonio, avrebbe prima voluto stabilizzarsi con il lavoro per non pesare sulle spalle di Gigì. A quest'ultima, a onor del vero, non avrebbe incomodato la precarietà del futuro sposo. Anche se la sua professione di attrice teatrale in una città come Civitopia non veniva valorizzata un gran che, aveva del denaro da parte risultante dalla vendita dell'appartamento dei genitori alla morte di questi ultimi, avvenuta qualche anno avanti. Da allora, viveva assieme alla sorella maggiore Giacinta, vedova con una figlia in tenera età. Le due sorelle, al fine di evitare gravose spese mantenendo in piedi l'appartamento che avevano ereditato e costituirsi una piccola riserva per i tempi di vacche magre, avevano preferito vendere e vivere assieme in uno spazio molto contenuto, ma dall'affitto abbordabile e senza la zavorra usa gravare sui proprietari di un immobile condominiale. Per una donna che campava sulla reversibilità del marito (giacchè per fortuna sua il defunto era stato un pubblico impiegato, sia pure di categoria tutt'altro che eccelsa) e di quando in quando, delle pulizie in nero per arrotondare senza intaccare la piccola riserva per amore della figlioletta, era quanto bastava e avanzava. E bastava e avanzava anche per una piccola attrice teatrale dallo stipendio che si equiparava ai rimborsi agli stagisti di cui si leggeva soltanto nei non ancora censurati libri di antropologia culturale e sociologia destinati alle scuole private e università: dato che gli stagisti a Civitopia lavoravano gratis e senza alcun rimborso per le svariate spese che dovevano sostenere tra pranzi e cene fuori casa e trasporti. Gigì, che sin da piccola manifestava un gran talento per la recitazione, si era diplomata al liceo artistico, che le aveva garantito una carriera presso il teatro locale in cui la sua classe aveva partecipato a parecchi laboratori durante gli anni di studio. Giacinta, non altrettanto talentuosa, dopo le scuole dell'obbligo aveva seguito alcuni corsi per diventare addetta alle vendite, puntando su abbigliamento e accessori. Peccato che tale impiego, uso girare intorno alle mere apparenze, a Civitopia da qualche tempo aveva preso a durare quanto un soffio di venticello. Quando la commessa di turno perdeva la freschezza della gioventù, veniva licenziata senza pietà, sempre e quando fosse stata ritenuta di bell'aspetto sufficiente da trovare un impiego nel settore. Nel mondo della moda di Civitopia, perdere la freschezza della gioventù per una donna tendeva a coincidere con il ventiquattresimo compleanno. Se più fortunata per aver trovato lavoro presso un esercizio commerciale di manica più larga, al ventinovesimo. Comunque, mai al di sopra del trentesimo. Per Giacinta erano stati anni di dure battaglie, tra la fine dell'ultimo corso seguito e il trentesimo compleanno. Veniva assunta unicamente da esercizi commerciali che agonizzavano nella periferia, affetti da gestione incapace, i cui proprietari non erano neppure in grado di distinguere una buona localizzazione per le vendite. Chiudevano sempre entro un anno dall'apertura. Quanto ai negozi in centro un minimo rinomati, non la ritenevano mai all'altezza: ne lamentavano perennemente un aspetto troppo qualunque, ordinario.
-Non sei neppure passabile per lavorare qui- avevano poco cortesemente affermato in un franchising di abbigliamento neppure troppo famoso. Giacinta non aveva dunque mai neppure tentato di addentrarsi in un centro commerciale o peggio, una boutique, per consegnarvi il suo curriculum. Inutile discutere con la boria e la superficialità: non ci avrebbe guadagnato nulla, se non ulteriori umiliazioni.
Dopo i trenta, sia pur delusa, ma senza perdersi d'animo a dispetto delle sconfitte, aveva allora ripiegato sulle imprese di pulizia, ma curiosamente, il settore era appena stato preso di mira dai politici civitesi di maggioranza e serviva la raccomandazione di qualcuno di loro per entrarvi, sia pure unicamente per pulire cessi. Non le erano rimaste allora che le pulizie in nero.
Quando nella sala d'aspetto dello studio del suo dentista, che le stava curando alcune carie, aveva conosciuto l'uomo che avrebbe sposato, un magazziniere dell'anagrafe, la vita di Giacinta sembrava aver preso una piega dalle circostanze favorevoli. L'uomo era sinceramente interessato alla sua persona, alla sua solarità a dispetto delle disavventure della vita e non gl'importava nè del suo aspetto qualunque e neppure del suo intorno sociale fatto di persone del tutto prive di voce in capitolo.

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Ps.: immagine Pixabay 100% free rappresentante l'esibizione della vanità (https://pixabay.com/es/photos/tarro-de-polvo-de-damas-62308/)

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