Lo Sfogo

lady-vengeance-505981048cf62-1300x731.jpg

Le donna stava aspettando il pullman che l'avrebbe portata alla fabbrica. Aveva pagato cinquemila euro per partecipare a "lo Sfogo", e non vedeva l'ora di arrivare a destinazione. Il pullman passò puntuale alle otto del mattino.
Elettra salì e si sedette nell'ultimo posto disponibile accanto ad un'altra signora in prima fila. Erano tutte donne, lo sfogo era riservato solo a loro.
Ogni anno il governo organizzava l'evento a cui potevano partecipare le donne vittime di violenze. Cinquanta di loro pagavano per vendicarsi delle violenze subite.
Dopo aver raggiunto la città designata, salivano tutte su un pullman con i vetri scuri in modo che nessuna potesse vedere la strada percorsa. Un pannello in ferro con una porta le separava dall'autista.
Elettra aveva trent'anni, era stata sposata per cinque e aveva subito violenza per quattro. Fino a quando non trovò la forza di denunciare il marito che finì in prigione per una decina d'anni. Era rimasta sola, e non aveva più trovato la forza e il coraggio di frequentare un uomo per paura di rivivere l'incubo e di tornare a soffrire.

La fabbrica era una vera e propria azienda nella periferia della città, abbandonata e dismessa, ed era utilizzata dal governo per promuovere lo sfogo. Tutti gli anni, centinaia di donne chiedevano di partecipare ma il numero era stato fissato a cinquanta. Poiché cinquanta erano i carcerati uomini che avevano preso l'ergastolo e che il governo decideva di eliminare. Venivano scelti uomini che si erano macchiati di femminicidio. Per partecipare, esse prenotavano il biglietto sul sito governativo, proprio come si faceva su altri siti per un qualsiasi concerto. Le prime cinquanta più veloci a prenotare accedevano all'evento.
Elettra era eccitata ma allo stesso tempo un po' agitata. La rabbia per tutte le violenze subite l'avevano convinta a partecipare, e a vendicare almeno una delle tante donne uccise. Si era immaginata molte volte di ritrovarsi davanti a uno di quegli ergastolani, e di infliggergli le pene più crudeli.

Arrivate a destinazione scesero dal pullman. Si guardarono intorno per curiosità, e forse per cercare di capire dove si trovassero. Furono subito portate nella fabbrica, una delle tante in quella zona e apparentemente uguale alle altre. Non appena entrarono, ognuna registrò la sua presenza mostrando la prenotazione che aveva sul telefono.
Passarono tutte sotto il metal detector, per controllare che nessuna introducesse armi proprie.
Entrarono in sala d'attesa e si sedettero ognuna al proprio posto. Le donne parlarono tra loro, raccontandosi a vicenda le loro storie.
Una alla volta vennero portate in un'altra stanza, completamente vuota, eccetto che per un enorme tavolo al centro. Su di esso c'erano tra le più svariate armi che avrebbero scelto per vendicarsi. Coltelli di tutte le misure, accette, macheti, spade e pugnali, mazze ferrate e manganelli, pistole, mitra e fucili di ogni tipo, e persino dei trapani.
Dopo aver scelto l'arma, ogni donna usciva da una porta che conduceva ad una stanza più piccola in cui c'era una gabbia.
Quando fu il turno di Elettra, lei entrò un po' timorosa pensando a quale arma avrebbe usato.
Si trovò davanti al tavolo e cominciò a tremare leggermente, pensando se fosse giusto trovarsi lì.
Passò in rassegna tutte le armi, poi si fermò a fissarne una che nessuna aveva ancora scelto. Il trapano.
Aveva sempre avuto una passione per il fai da te ed era molto brava a fare tutti quei lavori che richiedevano l'uso di un trapano. Sia che si trattasse di avvitare sia di perforare il muro per metterci dei tasselli. Prese in mano il trapano e lo fissò sorridendo. Lo strinse al petto come un figlio e lo portò nella stanza accanto.
Appena dentro si guardò in giro. La stanza le appariva perfettamente quadrata. I muri erano rosa, con molti disegni floreali sul lato sinistro e quadri con fotografie su quello destro.
Le fotografie in ogni quadro erano due, e ritraevano donne in due momenti diversi. Nella prima apparivano sorridenti e felici, nella seconda mostravano i segni delle violenze.
Servivano a stimolare la voglia di vendetta delle partecipanti.
Elettra cominciò a fissare quelle immagini e le vennero gli occhi lucidi, un misto di rabbia e commozione riempì il suo cuore.
Al centro della stanza, c'era una gabbia in ferro ed era anch'essa quadrata. Sulla parete di fronte a Elettra, dietro la gabbia, si aprì una porta mimetizzata perfettamente con il colore del muro. Entrarono due vigilanti in divisa accompagnando un uomo legato con le catene sia ai piedi che ai polsi. Aprirono la cella di ferro e portarono l'uomo al centro. Presero una catena di due metri legata alla gabbia e la fissarono al gancio dietro la schiena dell'ergastolano, sulla cintura di cuoio che indossava. Tutto questo per limitare ancor di più i suoi movimenti.
Ogni donna aveva a disposizione quindici minuti per uccidere il carcerato a vita.
Se l'uomo resisteva più di quel tempo, sopravvivendo alle ferite subite, veniva soppresso da uno dei vigilanti con un colpo di pistola alla tempia.
Lo stesso accadeva se una donna si fosse rifiutata all'ultimo minuto di uccidere il detenuto.
Elettra fissò l'uomo di fronte a lui. Vestiva interamente di bianco con maglietta e pantaloni lunghi.
Il colore dei vestiti fu scelto per enfatizzare quello del sangue. E come simbolo di una purezza da ritrovare espiando le proprie colpe.
Era di mezza età, rasato e con un fisico snello ma muscoloso.
Con lo sguardo spento fissò Elettra, lei si avvicinò di qualche passo per parlargli.
"Chi hai ucciso? Quante? Ti sei pentito di quello hai fatto?"
L'uomo guardò per terra per qualche secondo, come se li potesse trovare una risposta, poi alzò lo sguardo su Elettra.
"Ho ucciso la mia vicina di casa per futili motivi. Abitavo in una palazzina e sono sceso per dirle di smettere coi rumori. Tutti si lamentavano. Mi ha aperto la porta e fatto entrare, non era la prima volta che andavo da lei per lamentarmi anche a nome degli altri inquilini. Abbiamo discusso come in altre occasioni ma quella volta ho perso la ragione. Non so come sia potuto succedere. C'era un coltello sul tavolo e l'ho colpita.
Ho chiamato subito i soccorsi ma non sono arrivati in tempo ed è morta dissanguata. Questo è tutto."
Elettra dopo aver ascoltato quelle parole continuò.
"Avevi una moglie? Era la prima volta che facevi del male ad una donna?"
"Si, avevo una moglie...e un figlio...e non ho mai mosso un dito contro di loro né contro altri. Quella volta è stata l'unica...È come se una forza malefica e invisibile avesse occupato il mio corpo solo per pochi secondi. Sono sempre stato una persona tranquilla, qualche eccesso da giovane ma come tutti. Niente di anormale."
Elettra ascoltò l'uomo, le appariva mite e rassegnato. Non le sembrò una persona cattiva ma solo una di quelle che aveva fatto uno sbaglio. Sicuramente grave, ma dentro di lei sentì che non era avvezzo a comportamenti violenti o cattivi. Aveva solo pagato caro un attimo di follia.
La donna fissò le fotografie sulle pareti. Cercò l'ispirazione per il suo sfogo, ma la rabbia e il fuoco che avevano caratterizzato i suoi anni di sofferenza in quel momento sembravano seppelliti.
I cinquemila euro spesi per quella vendetta, le erano sembrati il miglior investimento della sua vita, fino a quell'istante. Si trovò davanti a quell'uomo con il trapano in mano e il coraggio all'improvviso svanì.
Non riuscì nemmeno ad accenderlo, guardò i due vigilanti fuori dalla gabbia, poi l'orologio. Il tempo stava per scadere. Non era fatta per quel posto, pensò, e soprattutto quella vendetta non l'avrebbe resa una persona migliore. Non le avrebbe restituito gli anni più sofferti. E capì di non voler aggiungere violenza ad altra violenza. Guardò un'ultima volta il carcerato, si girò e camminò verso la porta che apriva la gabbia. Senti l'uomo rivolgersi a lei ringraziandola. Senza più voltarsi fu accompagnata all'uscita da un altro vigilante. Non appena varcò la soglia della stanza rosa sentì uno sparo e cominciò a piangere.

         Fine
H2
H3
H4
3 columns
2 columns
1 column
Join the conversation now
Logo
Center