Opinioni - n.7 - Coronavirus, fase due, due e mezzo o tre. Quando i numeri contano.

Il coronavirus continua a imperversare in tutto il mondo sebbene l'epicentro sembra in questo momento essersi spostato negli USA, ed in Europa è giunto il momento di pensare ad una "Fase 2", con un occhio attento a quello che filtra dalla Cina, che ci precede di circa un mese, ma le informazioni della quale vanno sempre prese con le pinze in quanto ad affidabilità.

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Non che ci sia troppo da fidarsi neanche delle cifre presentate nei bollettini europei ed italiani in particolare, ma questi sono gli unici numeri su cui provare ad imbastire qualsiasi ragionamento. E' importante però avere la consapevolezza che questi numeri non sono sicuri e che quindi occorre esser in grado di approntare qualsiasi piano si decida di attuare attrezzandolo con una congrua flessibilità operativa.

Infatti in questi bollettini quotidianamente diffusi non c'è nessun numero vero.

I contagiati infatti non sono veramente i contagiati, ma solo quelli che abbiamo scoperto esserlo, visto la gran quantità di persone asintomatiche e quelle che pur essendo sintomatiche non vengono sottoposte a tampone.

I guariti non rappresentano veramente i guariti, ma solo le persone dimesse dagli ospedali e mandate a curarsi a casa, dove dovranno superare una lunga convalescenza che non è certo porti ad una definitiva guarigione visto che sempre più spesso si sente parlare di ricadute, o "riattivazione" del virus.

Infine purtroppo neanche i morti sono veramente i morti, ma solo le persone decedute in ospedale ed escludono tutti coloro che, soprattutto anziani, muoiono nelle abitazioni e che non vengono sottoposte a tampone post decesso, volendo sorvolare sull'indegno fenomeno di ciò che sembra esser accaduto nelle RSA, quelli che per ipocrita finzione di voler ridare dignità non vogliamo più chiamare ospizi.

Nonostante ciò i numeri, quelli che abbiamo, indicano che finalmente sembra si possa cominciare a ragionare, come dicevo in apertura, della prossima fase 2. Quando cominciarla e come realizzarla sono diventati i dubbi di oggi.

E' sempre più evidente che sia indispensabile anticiparla al più presto per esigenze economiche. Perché come al solito dopo le promesse dei diversi Governi nel mondo riguardo al fatto che si sarebbe potuto rimanere a casa senza problemi perché sarebbero giunti risarcimenti è giunta la reale dimensione del fenomeno.

Era ingenuo pensare che tutto sarebbe stato risarcito, che le promesse sarebbero state mantenute. Quando mai accade? I soldi che mandano avanti il mondo sono sempre pochi per le masse e quando si tratta di metterli a disposizione si fa molto prima a prometterli che a distribuirli veramente.

Così, sorvolando su cosa avviene in paesi culturalmente e strutturalmente diversi come l'Iran, anche in Europa si sta mettendo in campo una varietà di alternative proposte e soluzioni. Dall'Austria che già ha allentato la stretta grazie alle capacità manifestate nel controllare l'epidemia, alla Spagna che spinta dalla paura del precipizio economico ha annunciato una prossima ripartenza sebbene la situazione non sia del tutto sotto controllo, passando dalla Francia che annuncia la proroga delle restrizioni fino all'11 maggio ma che promette che dal giorno successivo riapriranno le scuole.

E l'Italia? L'Italia come al solito è il paese dell'eterno dibattito, dove il tempo delle decisioni passa in discussioni senza fine, dove ognuno ha la sua verità, la sua particolarità, la sua giusta rivendicazione, la sua eccezione all'eccezione della regola. Finché il tempo delle decisioni finisce senza che si sia fatta una scelta definitiva e la soluzione non è mai una soluzione. Finché alla fine la decisione è già superata dai fatti e si ricomincia il dibattito per la ricerca di una nuova soluzione. Un'inestricabile matassa senza né capo né coda, utile solo a dimostrare l'esistenza dell'infinito.

La mia personale opinione è che occorre finalmente mettere in atto una tattica utile al confinamento del virus, che non massacri però l'economia più di quanto già fatto, anche in considerazione della già grave situazione pre pandemia. A volte sembra quasi palpabile il sospetto che si voglia approfittare dell'epidemia per giustificare il baratro economico italiano che forse non si sapeva già come evitare.

Le attività economiche vanno riaperte, tutte o quasi, chiedendo il rispetto di norme adatte a limitare al minimo le possibilità di contagio, con la consapevolezza che impedirlo del tutto è assolutamente impossibile. Quindi si alle norme di distanziamento, in ogni situazione in cui si possa umanamente fare. In tutti gli altri casi saranno i singoli individui a regolarsi liberamente. E' impossibile ad esempio mantenere il distanziamento dal barbiere o dal dentista. Ma ognuno di noi può decidere se rinunciare all'impianto dentale o al taglio di capelli. Ognuno di noi può liberamente mettere in atto le sue strategie di riduzione del rischio.

Si dirà che molti dipendenti non possono mantenere le distanze di sicurezza nel posto di lavoro, in fabbrica o altrove. E' assolutamente vero, ma in quel caso si possono far intervenire controlli, anche grazie alle categorie sindacali e imprenditoriali per stabilire se tali impossibilità sono dovute a d esigenze strutturali impossibili da superare o se dovute a mancanze colpevoli dell'impresa. Andranno evidentemente rimodulati i profili di rischio di ogni posto di lavoro ed adeguate le normative di riferimento, incluse quelle che prevedono indennità ed il riconoscimento delle professioni usuranti.

Insomma ci sono molte cose da "ristrutturare", da "rimodellare", da "riprogettare" e da "ridefinire", ma ciò implica che occorre cominciare da subito a farlo, senza indugiare oltre, perché il virus non passerà da solo e non si potranno attendere i tempi di una vaccinazione di massa.

E per avvalorare questa opinione torno al discorso iniziale sui numeri, quelli incerti ma unici sul piatto della bilancia delle valutazioni da fare.

Siamo sicuri che gli oltre 20mila morti italiani siano tutti vittime del corona virus? No, lungi da ma riaprire il dibattito sciocco su "morti PER" o "morti CON". Ma una cosa mi sembra evidente, al di là del numero esatto dei morti. Che molti, moltissimi morti si sarebbero potuti evitare. Come? Con un sistema sanitario adeguato, sia dal punto di vista professionale, che,soprattutto dal punto di vista strutturale, includendo in questo termine anche la dotazione di attrezzature e presidi adeguati, oltre che di ospedali e laboratori analisi. Abbiamo con questa epidemia (ri)scoperto l'acqua calda. Che la nostra sanità è assolutamente inadeguata ad affrontare un'emergenza sanitaria improvvisa nonostante che il rischio di una pandemia dovuta ad un nuovo virus fosse un allarme lanciato dalla comunità scientifica con insistenza almeno nell'ultimo ventennio. Non avevamo abbastanza posti letto, respiratori, mascherine e tamponi nonché laboratori analisi e personale qualificato nel campo infettivologo, né piani da approntare che prevedessero ad esempio percorsi decontaminati dentro gli ospedali. Non avevamo praticamente nulla di tutto quello che sarebbe servito.

Perché?

Perché la qualità e l'efficenza hanno un costo, sempre ed ovunque, anche, anzi soprattutto, nella Sanità. E noi quel costo non potevamo permettercelo. Per cui abbiamo tagliato, tagliato e ancora tagliato la Sanità, rendendola quello che è oggi. Quindi molte di quelle oltre 20mila vittime non sono morte né PER né CON il coronavirus, ma sono vittime della crisi economica passata.

Pensiamoci su prima di considerare l'aspetto economico meno importante rispetto a quello puramente sanitario nel dibattito che ci attende per decidere sulla Fase 2. Perché non vorrei che a forza di attendere troppo per aver la certezza di aver eliminato le possibilità di contagio si finisca per aver l'economia di un paese africano. Perché poi avremo anche il suo livello di Sanità e probabilmente aumenteranno i morti anche per tante altre patologie.

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