Economia austriaca per Steemit – La teoria del valore, ovvero come essere utili agli altri

Uno dei maggiori contributi che la scuola austriaca ha dato all’evoluzione del pensiero economico è stata fornire una risposta, a tutt’oggi valida, ad un dilemma che nessun economista aveva ancora saputo risolvere: da cosa dipende il valore dei beni e dei servizi?

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Dal valore-lavoro al valore basato sull’utilità marginale

Ci troviamo a Vienna, nell’anno 1871. Carl Menger pubblica Grundsätze der Volkswirtschaftslehre (Principi di economia politica). Il testo dell’austriaco, già giornalista del Wiener Zeitung, introduce una teoria del valore che rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma. Per una di quelle coincidenze temporali che non sono rare tra le scoperte scientifiche, due altri pensatori che non si conoscevano tra di loro arrivavano negli stessi anni ma in luoghi diversi alle medesime conclusioni: l’inglese William Stanley Jevons (The theory of political economy, Londra, 1871) e lo svizzero Léon Walras (Éléments d'économie politique pure, Losanna, 1874).

Siamo di fronte a quella che prese il nome di rivoluzione marginalista in economia. Per quanto si sia trattato di un processo durato diversi anni, il termine è tutto fuorché iperbolico. Prima, la teoria del valore in circolazione risaliva agli economisti definiti “classici”, Adam Smith e David Ricardo, che avevano formulato una teoria basata sul lavoro. Secondo loro, il valore di un bene era determinato in ultima analisi dalla quantità di lavoro necessario per produrlo.

Questa teoria restava però incompleta e contradditoria: in determinate circostanze alcuni beni la cui produzione richiede poco o nessun lavoro hanno un valore maggiore di altri che hanno richiesto molto lavoro. Adam Smith risolveva questa impasse distinguendo tra il valore d’uso e il valore di scambio. Questi potevano divergere anche nettamente, come illustrava il filosofo scozzese con il seguente paradosso:

Le cose che hanno il maggiore valore d’uso hanno spesso poco o nessun valore di scambio. Nulla è più utile dell’acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa […] Un diamante al contrario ha difficilmente qualche valore d’uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni. (A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Milano, Isedi, 1973)

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Dal valore oggettivo al valore soggettivo

Il paradosso dell’acqua e dei diamanti trovò una soluzione definitiva soltanto quando la rivoluzione marginalista introdusse una teoria del valore soggettiva e basata sull’utilità marginale. Non individuava una causa oggettiva al valore delle cose, quali possono essere le unità di lavoro necessarie per produrle; ora il valore di un bene rappresentava una misura di quanto un soggetto lo considerava utile.

Il valore si rivelò come una variabile soggettiva, che cambia di persona in persona e anche di momento in momento. Inoltre è una dimensione marginale: l’utilità si riferisce alla specifica unità che sto consumando. Il decimo bicchiere d’acqua che bevo quando sono assetato ha una utilità nettamente inferiore rispetto al primo.

Si trattò, a tutti gli effetti, di una doppia rivoluzione. Fu un passaggio da credere il valore come variabile oggettiva a soggettiva, e anche da considerarlo da un punto di vista assoluto ad un punto di vista marginale. Non si guardava più alla produzione di un bene nella sua totalità per cercare di spiegare il suo valore; neppure si cercava di calcolare l’utilità in senso assoluto, perché questa è frutto di circostanze specifiche, individuali e marginali. I tre capostipiti del marginalismo, peraltro, non trovarono un termine per descrivere l’utilità marginale: fu Friedrich Wieser, della seconda generazione della scuola austriaca, a utilizzarlo per la prima volta (Grenznutzen) nel 1884.

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…e steemit?

Una grande impresa può incorporare una grande somma di lavoro; e tuttavia il suo valore dipende unicamente dal numero di persone a cui essa appare utile.
(W. S. Jevons, Teoria della economia politica e altri scritti economici, Torino, Utet, 1948)

Avendo frequentato steemit da un certo tempo, mi sono trovato in diverse occasioni a leggere lamentele per i post che ricevono payout maggiori rispetto ad altri che invece avrebbero richiesto una quantità maggiore di lavoro e che se lo meriterebbero di più. In qualche modo, questi argomenti fanno riferimento alla teoria del valore-lavoro che usavano Smith, Ricardo (e poi anche Marx).

Da un lato appare ingiusta la teoria austriaca/marginalista del valore in quanto non terrebbe in conto del lavoro svolto dalle persone. Dall’altro lato questa teoria del valore fa riflettere su quanto il lavoro non abbia valore di per sè, ma nella misura in cui è utile per gli altri. Io vedo in questa idea un forte stimolo che ci spinge verso gli altri, fuori dal nostro egocentrismo, e che ci porta ad aprirci verso i bisogni del prossimo.

I nostri post su steemit hanno valore nella misura in cui sono utili per gli altri. Come questo si rifletta sul payout finale dipende anche da altre variabili, soprattutto dal potere di voto di chi lo considera utile. Per concludere, ora che conosciamo un nuovo mattoncino delle idee che hanno dato forma a Steemit, la prossima volta che stiamo per scrivere un post la domanda migliore da farci potrebbe proprio essere “come posso essere utile agli altri?”.

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Tutte le foto sono state scattate da me (Cile, 2016).

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