Discovery-it in collaborazione con Steemit-italia Presentano: Essere immuni al dolore

Essere immuni al dolore: una condizione rara ma letale  

Per quanto spiacevole possa essere la sensazione del “dolore”, questa è indispensabile al fine della stessa vita e della salute dell’individuo. Sembra un assoluto controsenso: per star bene bisogna star male.

Eppure il dolore, come la maggior parte di tutte le nostre funzioni biologiche, è un meccanismo che si evoluto e perfezionato nei millenni della nostra esistenza, proprio per salvaguardarci da numerosi pericoli.


Post in collaborazione con il progetto SISTEM di @steemit-italia

16/11/2018 | Scritto da @Cryptoitaly


Cenni di fisiologia del dolore

Anche se conosciamo tutti la sensazione di dolore, pochi sanno che in realtà il meccanismo dietro di esso è estremamente complesso ed è altamente regolato. Il dolore è una sensazione spiacevole che non fa altro che segnalare alla nostra coscienza che qualcosa “non va”. Non è un “difetto” di produzione dell’essere umano, ma uno dei sistemi di allarme più importanti che il nostro corpo ha a disposizione. Il nostro corpo percepisce il dolore attraverso dei recettori (nocicettori) situati in alcuni particolari tessuti, il più importante (e più esteso) è la cute, comunemente detta pelle. I nocicettori sono presenti anche nei muscoli, nelle articolazioni e in alcune membrane (sierose) che ricoprono gli organi del nostro corpo: si tratta di cellule nervose altamente specializzate nel rispondere a particolari tipi di stimoli. Senza scendere troppo nel dettaglio, i nocicettori rispondono a stimoli di natura meccanica, termica e chimica; per essere attivati e trasmettere al cervello, lo stimolo deve essere di una certa intensità o coinvolgere diversi nocicettori nello stesso tempo. Una volta che giunge uno stimolo adeguato ad attivare queste cellule nervose, viene trasmesso un impulso elettrico che viaggia all’interno dei fasci nervosi del midollo spinale, per arrivare ai nuclei del talamo e da qui al cervello, in un’area dedicata alla ricezione ed elaborazione di stimoli dolorosi chiamata circonvoluzione postcentrale o corteccia somatosensoriale primaria. In realtà, il circuito del dolore è molto più complesso di così: a livello cerebrale ci sono numerose connessioni tra l’area somatosensoriale primaria, quella secondaria ed il sistema limbico, deputato all’elaborazione di memoria, ricordi e sentimenti. Proprio per questo motivo, una sensazione dolorifica ci può risultare amplificata se corrisponde ad una nostra paura o se è caricata da una forte emozione, allo stesso modo se siamo presi da altro, avvertiamo alcuni stimoli dolorifici con ritardo, come avviene di solito nei film in cui l’eroe di turno si accorge di essere stato ferito solo al termine dello scontro a fuoco.



Sistema di trasmissione dei recettori nervosi. CC BY SA 3.0

Il dolore: perché esiste?

Il nostro corpo è una macchina formidabile: resistente, agile, in grado di proteggere i nostri organi interni e con alcune capacità rigenerative. Per quale motivo qualcosa di così perfetto ed elaborato, ci propone una sensazione così spiacevole come il dolore? Facciamo un piccolo esperimento immaginario. Pensiamo ad un chiodo estremamente lungo, che attraverso il centro del nostro corpo in maniera molto graduale. Si tratta di una fantasia un po’ macabra, ma che rende bene l’idea di come siamo fatti e a cosa serve il provare dolore.


La frecce indica il tragitto del chiodo immaginario: notare quante strutture nel nostro corpo e come varia il dolore che percepiamo.

All’iniziale penetrazione del chiodo nella nostra pelle sentiamo un semplice pizzico. Abbiamo leso gli strati più superficiali della nostra cute, nulla di grave: la nostra capacità rigenerativa riparerà il danno in qualche ora. Procedendo più in profondità con il chiodo, iniziamo a sanguinare, avvertiamo una sensazione di caldo e un dolore più intenso: siamo nello strato sottocutaneo, ricco di vasi sanguigni che portano nutrimento sia agli strati più superficiali che a quelli più profondi. Il danno a questo livello, inizia ad essere tangibile, la formazione di nuovi vasi sanguigni può richiedere ore e si può innescare un processo infettivo severo che può compromettere tutto l’organismo. Tocca quindi ai muscoli: il dolore che prima era puntiforme, inizia ad essere più ampio e meno definito, il sanguinamento diventa molto più vistoso per l’abbondanza di vasi che nutrono i muscoli. Il danno in questo caso può essere riparato nell’arco di mesi, a volte lasciando disfunzioni permanenti. Il dolore a questo punto, è molto più intenso e quasi insopportabile. Tuttavia, procedendo, il dolore cambia: arrivando a lesionare gli organi interni, il dolore viene avvertito come profondo, mal localizzabile, intenso ma per certi verso più sopportabile. Il nostro corpo inizia a darci altri segnali di allerta: i vasi sanguigni si contraggono, la pressione sanguigna si altera, iniziamo ad agitarci e ad essere confusi. Il viaggio del nostro chiodo termina a livello del midollo spinale, formato da cellule nervose responsabili del trasferimento delle informazioni dalla periferia del corpo, al cervello. Il dolore a questo punto, sparisce, perchè abbiamo danneggiato il principale sistema di conduzione delle informazioni dolorose (e non solo).

Tuttavia, potete davvero dire che senza dolore, siete messi bene dopo tutto quello che vi ho descritto?

Il concetto dell’esempio citato, è che il dolore serve come meccanismo di difesa agli stimoli nocivi esterni. Quando avvertiamo lo spillo che ci tocca, il fastidio iniziale ci fa reagire in maniera riflessa, portandoci ad allontanare dalla fonte del danno. Il dolore infatti, è proprio un sistema spia del danno che sta avvenendo nel nostro organismo, quanto più è intenso, più ci indica di fuggire da un determinato stimolo nocivo: proprio per questo motivo il dolore è più preciso sugli strati superficiali del nostro corpo, in maniera da localizzarne la fonte. Gli organi invece, non hanno un sistema così preciso di localizzazione del dolore, piuttosto danno il via ad una serie di sensazione generalizzate spiacevoli che ci pone in allerta.

Quando non provare dolore è letale: le sindromi analgesiche



Esiti di automutilazione delle mani in bambino affetto da CIPA. Labib S et al. CC BY 2.0

La CIPA (Congenital Insensitivity to Pain with Anhidrosis) o Insensibilità congenita al dolore con anidrosi è una rarissima condizione di analgesia naturale: una patologia nella quale il malato, è immune al dolore e non avverte né freddo né caldo. L’eziologia della CIPA è una rarissima mutazione autosomica recessiva del gene NTRK1, che codifica per una proteina essenziale al corretto funzionamento dei neuroni sensoriali, che in questi pazienti non funzionano. La letteratura sull’argomento è estremamente scarsa: poco più di 100 pubblicazioni per una malattia che colpisce meno di 500 persone nel mondo (la maggior parte in Giappone). Quella che si potrebbe prospettare una vita felice senza dolore è in realtà un vero incubo: i bambini affetti da CIPA in genere non superano l’infanzia e sono pochissimi i casi dei soggetti arrivati in età adulta. La morte sopraggiunge a causa dell’ipertermia, delle ricorrenti infezioni o di emorragie interne. I bambini infatti posso andare incontro a cadute gravi, battere la testa e non avere nessun sintomo fino a che non è troppo tardi; oppure muoiono per l’ipertermia in quanto non riescono a sudare per espellere il calore in eccesso. Il sintomo più devastante sono tuttavia le automutilazioni: non avvertendo dolore, i bambini molto piccoli si rosicchiano fino a staccarsi del tutto dita delle mani e dei piedi, motivo per il quale spesso vengono tolti loro tutti i denti da latte.

Ciò che ci frena da mordere le dita da bambini è proprio il dolore che ne ricaviamo ai primi tentativi. La sensazione spiacevole ci "addestra" ad evitare di rifarlo.

Non vi sono terapie per questa malattia dato anche il numero estremamente esiguo di casi da studiare (inoltre si tratta per la maggior parte di bambini). Gli unici approcci possibili sono quelli di controllare tutte le attività del bambino, impedendogli di svolgere attività troppo pericolose e monitorare continuamente la temperatura per scongiurare ipo ed ipertermia.

Un’altra sindrome analgesica di recentissima scoperta, è tutta Italiana: la sindrome di Marsili, dal nome della famiglia che ne è affetta. Anche in questo caso, si tratta di una mutazione di un gene, ZFHX2, che regola la trascrizione di geni coinvolti nel processo sensoriale, di cui non sono ancora stati scoperti i dettagli. Esperimenti su topi a cui è stato eliminato il gene, hanno mostrato lo sviluppo di una insensibilità al dolore ed al caldo, il che prova che il gene svolge un ruolo sicuramente importante nella regolazione del dolore. La mutazione è di tipo dominante: la famiglia Marsili è conta sei individui affetti da questa malattia, da ben tre generazioni. Similmente alla CIPA, questi sviluppano facilmente fratture e gravi lesioni corporee per traumi e feriti che non causano loro dolore; tuttavia sembra che questi deficit si sviluppino dopo l’infanzia e che alcuni tipi di dolori, come il mal di testa, siano avvertiti pienamente.

Il dolore come meccanismo di preservazione fisica…e non solo

Ora dovrebbe essere semplice capire per quale motivo esiste il dolore fisico: ci consente di salvaguardare l’integrità del nostro corpo e di individuare ed allontanarci repentinamente da uno stimolo dannoso. La salvaguardia della nostra salute è tutelato da diversi meccanismi “innati”, che sono fuori dal nostro controllo “cosciente”. Ad esempio, se toccate per sbaglio un oggetto bollente, la vostra mano si allontana rapidamente; così come se sentite un rumore improvviso vi viene in automatico di girare testa ed occhi per guardare la fonte del rumore. Si tratta, in entrambi i casi di archi motori riflessi o detto in altri termini, di comportamenti riflessi che sono dati dall’attivazione di circuiti nervosi molto più brevi di quelli “standard” che abbiamo visto in precedenza.

"Riflesso di allontanamento": alla presenza di uno stimolo nocivo avvertito sulla mano, il muscolo del braccio si contrae rapidamente in maniera involontaria, allontanando la mano dalla fonte del danno. Immagine di Marta Aguayo. CC BY SA 30.0

Nell’esempio in figura, prendiamo in considerazione il riflesso di allontanamento, nella quale uno stimolo doloroso (fonte di calore) attiva i recettori del dolore. L’impulso, raggiunge il midollo spinale e da qui si sdoppia: un impulso andrà al cervello per farci rendere conto di ciò che sta accadendo, l’altra andrò direttamente al muscolo effettore, il bicipite, e lo farà contrarre, causando l’allontanamento della mano tramite la flessione del braccio.

Possiamo quindi dire con assoluta certezza che il dolore è indispensabile alla nostra vita e fa parte di essa: è un meccanismo che serve a proteggerci da ciò che può distruggerci. Allo stesso modo, il dolore emotivo ha un ruolo ancora più tangibile sulla crescita dell’individuo: delusione amorose, tradimenti, insoddisfazioni che riceviamo nella vita e che ci fanno soffrire, ci rendono più attenti e più forti ad affrontare le relazioni con il prossimo.

Il testo è di proprietà dell’autore @cryptoitaly e l’utilizzo, riproduzione o citazione senza autorizzazione è vietata.

Bibliografia:

1.Indo Y. Congenital Insensitivity to Pain with Anhidrosis. University of Washington, Seattle; 1993-2018.
2.Spinsanti G, Zannolli R, Panti C, Ceccarelli I, Marsili L, Bachiocco V, et al. Quantitative real-time PCR detection of TRPV1-4 gene expression in human leukocytes from healthy and hyposensitive subjects. Mol Pain 2008; 4: 51.
3.Labib S et al. Congenital insensitivity to pain with anhydrosis: report of a family case. Pan Afr Med J. 2011;9:33. Epub 2011 Jul 25.
4.Solomon; Schmidt (1990). “13”. In Carol, Field. Human Anatomy & physiology (2 ed.). Saunders College Publishing. p. 470. ISBN 0-03-011914-6.


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