Khomeini e la propaganda sciita

All’interno dell’Islam esistono due correnti principali di fede, di cui la minoritaria è quella sciita. La maggior parte degli islamici appartiene alla corrente sunnita, anche se si può riconoscere allo sciismo un valore enorme all’interno dell’Islam, soprattutto a livello socio-politico. L’ayatollah Khomeini, il cui titolo di ayatollah nacque appositamente all’interno della professione di fede sciita, è solo uno dei nomi più importanti che hanno fatto la storia dell’Islam sciita, nel bene e nel male. La dinastia degli Assad che governa la Siria da diversi decenni, è di fede sciita alawita, una minoranza nella minoranza dedita a culti preislamici e pagani, con una predilezione per gli aspetti esoterici dello sciismo piuttosto che a quelli essoterici, come invece accadde per lo sciismo di Khomeini.

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L’Iran fu il primo e unico stato sovrano a riconoscere, ben prima della caduta dell’ultimo Shah laico e filo occidentale, lo sciismo come religione di Stato. Dopo la rovinosa fine della dinastia regnante e la presa al potere di Khomeini, questi inserì nella Costituzione dell’Iran, per la prima volta nella storia islamica, elementi giuridici religiosi, divenendo di fatto non solo una guida spirituale e religiosa sciita ma soprattutto una figura politica. Per secoli, fin dagli albori della sua nascita, la fede sciita è sempre stata una fede passiva agli eventi politici, i cui Imam, le figure in assoluto più importanti per la guida della comunità (tra i sunniti gli Imam non hanno la stessa funzione di quelli sciiti), hanno sempre tenuto un profilo basso e distaccato dai giochi di potere. Il cambiamento si deve sempre a Khomeini, che sfruttò il suo ascendente (basato anche su un notevole culto della personalità) sulla popolazione sciita iraniana stremata dalla dittatura regnante, per inserirsi definitivamente in un ruolo fino ad allora inedito, quello di guida religiosa dello Stato, costituendo poi la Repubblica Islamica che trasporterà l’Iran indietro nel tempo, verso codici etici e sociali decisamente arretrati rispetto all’occidentalizzazione fortemente voluta dagli Shah.
Alla rivoluzione iraniana e alle evoluzioni teologiche conseguenti si ispirarono molte delle comunità sciite di altri paesi, alcune anche antichissime: parliamo per esempio dell’Afghanistan, del Libano, dello Yemen, del Sudan. Quella iraniana fu una rivoluzione che davvero segnò all’interno dell’Islam un punto di svolta: se per molti religiosi sciiti iraniani e non (diversi furono epurati dal regime dell’ayatollah) fu un passo indietro nel perfezionamento dello sciismo come religione applicata alla democrazia, per altri fu il sintomo di un malessere del mondo islamico che poteva essere curato attraverso gli importanti cambiamenti che si applicarono all’interno di questa minoranza.
In Libano nacque uno dei primi partiti politici esclusivamente sciiti, quello di Hizbullah, il Partito di Dio, unico nel suo genere non solo per l’intraprendenza politica ma anche per il ruolo attivo nella comunità sciita libanese, ruolo che comprende anche una versione militarizzata i cui fondi arrivano dall’Iran e da privati libanesi. In Iraq, dove la dittatura di Saddam Hussein, essendo di professione sunnita, perseguitava gli sciiti, gli abitanti sciiti di origine iraniana presero le distanze dalla versione ortodossa di Khomeini, finendo per combattere i loro stessi fratelli nella lunga guerra che vide opporsi Iran e Iraq, non solo una guerra di dominio ma soprattutto una simbolica guerra di fede.

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Iran, anni Settanta, prima della Rivoluzione

Fu in questo frangente che, sempre Khomeini, comprese il potere enorme della propaganda religiosa, fino ad allora mai utilizzata in ambito sciita per scopi di reclutamento o movimento delle masse. Khomeini diede agli iraniani e, incredibilmente, anche ai fedeli di altri Stati, non solo un martellante messaggio religioso con le sue interpretazioni spirituali o giuridiche del Corano, ma stese un sudario propagandistico su tutta la popolazione attraverso le immagini sacre agli sciiti. Così Fatima, figura già importantissima nell’Islam sciita, figlia del Profeta Maometto e moglie del primo Imam Alì, diventa la figlia, madre e moglie ideale, figura che protegge ma soprattutto regala all’Iran schiere di figli pronti a morire nel martirio per salvare lo Stato Islamico. Le icone sciite si sprecano: sui muri, sui cartelloni, sulle banconote, anche nel vestiario. C’è la mano di Fatima, il tulipano, simbolo del martirio, il verde, colore sacro dell’Islam soprattutto in abiti e bandiere, il rosso, colore di un sanguinoso sacrificio, soprattutto nella fascia sul capo del soldati. Ci sono le immagini degli Imam che diedero la vita per la propria fede; armati e pronti a difendersi o feriti ma sempre fieri. Su tutti primeggia la figura dell’ Imam Huseyn, che appartiene al nucleo sacro per gli sciiti, cioè quello della famiglia di sangue del Profeta Maometto, di cui era il nipote.
Hoseyn, che morì fieramente ma crudelmente nella piana di Karbala, è una delle figure in assoluto più importanti e amate non solo dagli sciiti. Questi però, ne sono talmente devoti che la celebrazione del martirio, la processione del Muharram, è talmente sentita e importante da essere entrata nel tessuto religioso di altri Paesi, come l’India, dove si mischia oggi a elementi induisti trasformandosi in una celebrazione unica nel suo genere.
Festeggiare il Muharram significa per la frangia più estrema degli sciiti, procurarsi dolore fisico, frustandosi o ferendosi il corpo in una processione talmente forte e ricca di tensione che ne è vietata la partecipazione alle donne. Dopo la caduta di Saddam Hussein, le celebrazioni del Muharram che erano state proibite dal regime, tornarono più forti e sentite che mai e fu proprio su questa leva emotiva che Khomeini vinse la guerra religiosa: perché ridursi a imitare le sofferenze dell’Imam Hoseyn nella piana di Karbala, emulando un dolore che solo parzialmente riscatta quello provato dall’eroe, quando si può essere veri e propri martiri?
Fu così che la propaganda di Khomeini si tramutò in una macchina di morte che mandò a morire al fronte decine di migliaia di giovani e ferventi sciiti, le cui madri, abbagliate dal simbolismo attribuito a Fatima, furono ben felici di benedirli un’ultima volta.

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Donne durante la Rivoluzione

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Martiri iraniani sciiti, guerra Iran - Iraq, 1980

Capire il mondo islamico è davvero complesso, si tratta di seguire i fili di una ragnatela a volte invisibili, spesso imbrogliati, ma tutti fortissimi ed essenziali per l’intera struttura. La corrente sciita non si riduce, non nasce e non finisce con Khomeini, anche se forse ne fu l’esponente più popolare a livello internazionale, nonostante la sua visione dello sciismo unica e molto controversa.
Nel mondo gli sciiti sono sempre una minoranza, divisi al loro interno in altre correnti minori, spesso perseguitati non solo dai sunniti ma anche dai professanti di altre religioni. In generale, alla fede sciita e alla rivoluzione iraniana in cui si rese protagonista, si deve (per riflesso) una maggiore presa di coscienza e attivismo del mondo femminile islamico, anche se si tratta pur sempre di Islam e la visione di base della donna non cambia; gli si deve una spinta propulsiva enorme verso l’innovazione e il cambiamento religioso, cosa che in ambito sunnita accade in maniera estremamente più lenta, essendo un ambito più soggetto ad immobilità nelle interpretazioni e nelle professioni di fede.
Khomeini, figura ferocemente criticata o ciecamente amata, capace di interpretazioni e dettami riprovevoli ma pioniere di un nuovo modo di fare la guerra, ha sicuramente dimostrato qualcosa al mondo intero: un uomo con la personalità adatta e la volontà di farlo, nel giusto momento storico, può plasmare una fede a suo piacimento, scegliendo di evolverla o sigillarla in sé stessa, muovendo le masse verso il martirio o verso la libertà. Perché come tutte le religioni, anche le più grandi, in fondo forse non è più la parola di Dio a contare, ma solo quella dell’uomo.

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