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EMIGRAZIONI RAVVICINATE DEL TERZO TIPO (part 2)

Ritorno (finalmente) alle riflessioni iniziate con il post precedente.
Come già sottolineato esse non si riferiscono al fenomeno emigrazione in genere (molto più complesso e sicuramente diversificato in termini di premesse, motivazioni, dinamiche e conseguenze), ma, semmai, allo specifico fenomeno di Emigrazione Italiana degli ultimi anni.

Lontano da un’analisi rappresentativa sul fenomeno, tuttavia questo racconto potrebbe rappresentare un altro piccolo pezzo del mosaico che, nel suo insieme, raffigura la condizione socio-culturare in cui si trova oggi il nostro Bel Paese e le sue famiglie.


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Fonte immagine: it.wikipedia.org

Partendo dal presupposto che la possibilità di potersi muovere su scala internazionale, di per sé, sia un’opportunità di arricchimento personale ed esperenziale; che essa consenta di confrontarsi con il mondo e le sue diverse culture e che, da ciò, essa permetta di dare nuovi spazi e nuove prospettive alle modalità di pensare e interpretare tutte le cose; è necessario tuttavia sottolineare che quando la mobilità non è circoscritta ad un’esperienza, per così dire, passeggera, ma è funzionale ad una nuova direzione di vita, le cose diventano un po’ meno fantasticamente leggere ed il confronto con la nuova realtà risulta spesso un arduo compito da portare avanti.

Qualunque emigrante sarà impegnato infatti a ri-partire da zero, reimparare a parlare, a muoversi, per poter conquistare e rinegoziare consuetudini e disposizioni interne nonchè il suo spazio sociale all'interno della società in arrivo.


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Fonte immagine: commons.wikimedia.org

La mia esperienza e le mie osservazioni mi hanno dunque portato a suddividere il fenomeno dell’attuale Emigrazione Italiana in 3 categorie principali o, più precisamente, 3 principali tipi di emigrati italiani all’estero:

Con Emigrazione del I Tipo ho voluto intendere quella che (rispetto a spinta motivazionale del migrante e condizioni di partenza) si avvicina di più alla Grande Emigrazione Italiana iniziata alla fine del XIX sec.
Intendo quel genere di emigrazione di cui fanno parte giovani e giovanissimi poco qualificati, provenienti da famiglie modeste che decidono presto di andar a cercare fortuna “Fuori”.

Malgrado in essa si sviluppino le dinamiche socio-antropo-psicologiche di base comuni a ogni fenomeno migratorio, fondamentalmente riescono a migliorare concretamente la qualità della loro vita, realizzandosi personalmente e professionalmente in maniera nettamente superiore a quanto sarebbe potuto avvenire per loro in Italia.


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Fonte immagine: foto dell'autore. libro ritratto: LIFE i grandi fotografi, pag.15, C. Bavagnoli.

Con Emigrazione del II Tipo ho voluto intendere quella che (rispetto a spinta motivazionale del migrante e condizioni di partenza) rientra nella comunemente detta Fuga dei Cervelli. Ovvero gli emigranti in questo caso sono per lo più neolaureati e neodottorati che hanno l’opportunità di lavorare in università, centri di ricerca o importanti aziende all’estero.

Malgrado in essa si sviluppino le dinamiche socio-antropo-psicologiche di base comuni a ogni fenomeno migratorio, fondamentalmente riescono a migliorare concretamente la qualità della loro vita, realizzandosi personalmente e professionalmente in maniera nettamente superiore a quanto sarebbe potuto avvenire per loro in Italia.


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Fonte immagine: foto dell'autore.

Con Emigrazione del III Tipo ho voluto intendere quella sommessa ma massiccia fetta di emigranti che non fa concretamente parte né della prima né della seconda categoria (ma in parte condivide le caratteristiche di entrambe).
Ovvero tutti quei (non più giovanissimi) uomini e donne Italiani fin troppo qualificati che decidono di andare all’estero, senza aver già un progetto di azione strutturato, un’azienda o un’università che li accolga, ma che decidono di andare all’estero perché non riescono più a tollerare la frustrazione di avere un lavoro dequalificante e/o precario e/o sottopagato.

Malgrado in esso si sviluppino le dinamiche socio-antropo-psicologiche di base comuni a ogni fenomeno migratorio, fondamentalmente riescono a migliorare…
No, no, no… aspettate un momento!

I migranti del III tipo, con la laurea nel cuore e un calcio nel culo partono con le stesse competenze dei migranti del II tipo ma dallo stesso livello dei migranti del primo tipo e con un paio di svantaggi in più: l’età e il peso del loro titolo.


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Fonte immagine: foto dell'autore. libro ritratto: LIFE i grandi fotografi, pag. 260, Y. Joel

L’età

Quando a 20 anni parti all’avventura hai ancora il fisico che ti accompagna: dopo 8 ore a correre tra un tavolo e l’altro del ristorante in cui inizi a lavorare riesci a tornare a casa fare una doccia, uscire, divertirti, bere, farti 4 ore di sonno e tornare a lavoro.
A 30 anni, dopo 8 ore a correre tra un tavolo e l’altro del ristorante in cui inizi a lavorare, riesci a tornare a casa, a malapena a fare una doccia e poi hai bisogno di distenderti coi piedi all’aria per farli sgonfiare, e stai già dormendo.

A 20 anni condividere un appartamento con altri 4 coinquilini è uno spasso.
A 30 anni fai caso al frigorifero sporco, al pavimento da lavare, al bagno condiviso con degli estranei e gli amici degli estranei e senti il bisogno di avere uno spazio che sia solo tuo.

A 20 anni è più semplice fare nuove amicizie.
A 30 anni le amicizie sono per lo più consolidate e i tuoi coetanei (all’estero) hanno quasi tutti famiglia, quindi impegni e interessi diversi dai tuoi.

A 20 anni non badi al tempo, ma alle esperienze, puoi scegliere tante strade e all’estero, se sei in gamba, potresti fare carriera anche partendo da lavapiatti.
A 30 anni hai già 10 anni in meno di tempo e 10 anni in meno di entusiasmo: i tempi per imparare e fare carriera sono enormemente ristretti e le capacità mentali per imparare cose nuove, anche.

Il peso del Titolo

A 30 anni la scelta del percorso professionale è già stata fatta 10 anni prima.
Il dilemma è: rinunciare a tutto il lavoro fatto fin qui ed investire in altro, oppure tentare strade che possano aprirsi alla professione?
Ma un italiano a 30 anni all’estero, in mezzo ai vari competitor che si trovano sul mercato internazionale è tra i più scarsi conoscitori della lingua straniera ed è quello con meno anni di esperienza nel settore; ergo quello che ha meno chance.

Il peso del titolo lo senti… perché quando fai il lavapiatti, il cameriere, il commesso, lo scarto tra la tua identità professionale e la tua identità lavorativa è troppo alto; lo senti perché in un’altra lingua non raggiungerai mai il sofisticato livello di espressione, comunicazione e dimostrazione delle tue competenze che nella tua lingua hai impiegato 30 anni per raggiungere e devi imparare a fare i conti con il tuo orgoglio e con le aspettative che hai sempre nutrito verso te stesso e verso il tuo futuro.

Devi fare i conti con una qualità di vita diversa da quella che i tuoi genitori hanno avuto e ti hanno offerto, conduci una vita lontana dai tuoi più importanti affetti di cui riesci a godere solo attraverso una frequenza a intermittenza.

E tutto questo per che cosa?

Per una manciata di certezze in più.
Per tutti quei diritti certi, ovvi e dati per scontati negli altri paesi europei e fino a qualche tempo fa anche nel nostro, ma che adesso sono calpestati, maltrattati e quando rispettati, rappresentano eccezioni per cui “doversi ritenere fortunato”.

Ma rifletteteci un attimo, a cosa facilmente porta tutto ciò?

Ad avere paura del cambiamento e della crescita, oltreché ad incentivare un sistema di servizi totalmente malfunzionante:

Come fai tu che hai un lavoro “sistemato” a lasciarlo perché non ti trovi bene, perchè ti annoia, non ti piace o non fa per te?

E come può lavorare, che servizio può offrire, qualcuno che fa qualcosa che lo annoia, che non gli piace o che non fa per lui?



E chi vuole rimanere, ma come fa?! Ha le mani legate come Andromeda…


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Fonte immagine: en.wikipedia.org



Capite qual è il punto?
No di certo la migrazione in sé e per sé, ma quegli scenari sociali, etici e politici che con essa si aprono e che riguardano chiunque!

Ad ogni modo, chissà, come qualcuno di noi avrà la sua parte da Andromeda, qualcun’altro l’avrà da Perseo..

E, in ogni caso, qualunque sia la nostra parte in questa storia, e in qualunque fase di essa ci ritroveremo, arriverà sempre, per tutti, quel caldo momento dell’anno in cui, alzando gli occhi verso il cielo, da qualunque parte del mondo le Perseidi torneranno a mostrarci lo spettacolo di quelle scie a cui affidiamo desideri da esaudire, speranze da realizzare e sogni da avverare.


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Fonte immagine: commons.wikimedia.org