Una promessa

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°147 S2-P10-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @serialfiller

Tema: Donna nuda
Ambientazione: Capri

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Una promessa

Ogni anno, a marzo, Giulio tornava a Capri e vi soggiornava per una notte. Nessuno sapeva il perché, e comunque ormai solo pochi intimi erano a conoscenza del fatto che vi si recasse.
Sua moglie Carla non ne aveva mai compreso la ragione, ma rientrava nei loro accordi che sull’argomento non si facessero mai domande e gli si lasciasse quel momento di solitudine sull’isola. Giulio aveva sempre fatto in modo che quel giorno non desse fastidio a nessuno, perché non ci fossero domande o tragedie al riguardo, ma ogni anno, cascasse il mondo, lui a marzo doveva trascorrere una notte a Capri. Era stato così per 27 dei suoi 40 anni, e sarebbe stato così anche quell’anno.

Un bagaglio leggero, il traghetto, poi il solito hotel. Una passeggiata e quella lunga sosta, dopocena, su quella panchina in cima alla scogliera. Si attardava là in cima fin poco dopo la mezzanotte, qualunque fossero le condizioni atmosferiche, poi tornava in hotel. All’alba, il letto praticamente intatto, una doccia appena fatta, lo zaino in spalla, tornava indietro dalla sua famiglia.

La moglie conosceva bene questa routine: Giulio gliela aveva descritta nei dettagli e lei ne aveva avuto conferma da un detective privato da cui vari anni di fila lo aveva fatto seguire. Nessuna amante, nessuna attività strana: solo quelle poche ore in solitudine sull’isola, appollaiato nella notte a congelarsi su quella panchina. Se Carla non avesse conosciuto molto bene la solida sanità mentale del marito, la sua affidabilità, la sua ferma pacatezza come padre dei loro figli, la sua dedizione al lavoro e alla famiglia e il suo profondo amore per lei, avrebbe detto che era pazzo.
Purtuttavia, proprio in virtù di tutto ciò, non riusciva a darsi pace del perché lui facesse questo, né poteva chiederglielo: le poche volte che, con le buone o con le cattive, con la dolcezza o con le lacrime, aveva provato a parlare di quel tabù, erano finiti col litigare malamente, cosa piuttosto rara nella loro solida coppia.
Giulio era stato chiaro: <<Non devi farmi domande sulla mia notte a Capri, perché non avrai mai delle risposte. Sta’ solo certa che non è nulla che potrà mai nuocere ad alcuno di noi>>. Il marito però non aveva mai, neppure una volta, detto a Carla di non andare con lui, così quell’anno lei aveva deciso di seguirlo, sperando di non farsi notare ma di vedere coi suoi occhi cosa Giulio facesse davvero a Capri.

Aveva comprato dei vestiti nuovi e anonimi, un lungo cappotto color cammello dal bavero alto e un cappello di feltro marrone che le copriva un po’ il volto. Sperava di camuffarsi almeno in parte con quegli abiti che Giulio non le aveva mai visto. Tesa e spaventata, era salita sul suo stesso traghetto rintanandosi lontano da lui, e all’arrivo a Capri era scesa dopo che tutti i passeggeri si erano allontanati. A distanza aveva visto il marito dirigersi al piccolo alberghetto dove alloggiava ogni anno, entrarvi, recarsi in stanza, poi uscire per cena.
Anche lei aveva prenotato nello stesso posto, ma per non rischiare di incontrarlo aveva aspettato che Giulio fosse al ristorante prima di fare il check-in anche lei. Messa in tasca la chiave della stanza, senza neanche recarsi a vederla Carla si diresse alla Piazzetta, dove sapeva che il marito stava terminando la cena e avviandosi verso la panchina.

Fu un lungo e difficile tragitto quello che portava alla scogliera: era una notte chiara, di luna piena, e la strada si inerpicava prima tra i vicoletti del paese, poi per sentieri poco battuti costeggiati da ginestre e fichi d’india fino in cima alla famosa panchina. Giulio andava di buon passo e Carla doveva stargli dietro senza perderlo di vista ma senza farsi scorgere né sentire dal marito. Giunto in cima, Giulio si sedette, prendendo posto a un estremo del sedile e iniziando a fissare il nero cielo a strapiombo sul golfo rischiarato dalla luce della luna.
A Carla sembrò che Giulio iniziasse a bisbigliare sottovoce, voltandosi a volte alla sua destra, verso lo spazio restante e apparentemente vuoto della panchina. Fu quando lo sentì ridere piano con gioia spensierata che decise di rischiare avvicinandosi ancora per sentire le sue parole.
Poggiava i piedi adagio sul terreno, piano piano, uno dopo l’altro, sperando che il fragore delle onde coprisse il frusciare dei suoi passi. Era certa di non esser stata udita quando sentì che Giulio sussurrava al vento: <<Allora la chiamiamo?>>, e poi, a voce alta: <<Carla, tesoro, finalmente sei arrivata: vieni qui, abbiamo bisogno di parlare>>.

Un brivido sinistro risalì lungo la schiena di Carla facendole rizzare tutti i peli del corpo e i capelli sulla nuca; il terrore la assalì facendola pentire di aver seguito Giulio e di non essere a casa, al calduccio sul divano, a coccolare il cane e i suoi ragazzi. Deglutì a fatica quel poco di saliva che non si era ancora seccata in bocca, poi si fece coraggio e si avviò piano verso il marito, che le appariva in quel momento un perfetto sconosciuto. Rimase in piedi di fronte a lui a guardarlo: aveva gli occhi sereni, felici, ricolmi di dolce tenerezza come mai lo aveva visto.
<<Sapevi che ti seguivo?>>
<<Lo speravo. Lo spero ogni anno, e finalmente sei qui.>>

La risposta di Giulio la spiazzò.
<<Che intendi dire? Che significa questo viaggio che fai ogni anno? Che è un tabù tra noi e tante volte ci ha fatto litigare ma che adesso vuoi improvvisamente condividere con me?>>
<<Carla, amore mio, questo è il posto in cui potrai domandarmi ogni cosa e ad ogni cosa avrai risposta. Solo qui, solo adesso. Quel che ti chiedo, però, è di parlare sottovoce, ascoltarmi con il cuore e aprire la mente a quel che sto per dirti, perché è straordinario e va al di là della nostra comprensione>>

Carla era stranita dalle parole del marito; il cuore le batteva all’impazzata e si sentiva sottosopra. Era ancora in piedi, per cui pensò di accingersi ad ascoltare la strana storia del marito seduta accanto a lui. Tuttavia appena fece cenno di accomodarsi, <<Non sederti!>> le comandò lui <<Non ancora: aspetta!>>. Lei non capiva e lo guardò interrogativa tornando a stare in piedi di fronte a lui.
<<Tanto tempo fa, avevo una sorella molto più grande di me, che era il mio idolo. Bella, solare, allegra, mi voleva molto bene e io la ammiravo: si chiamava Rebecca. Un giorno però Rebecca non tornò più a casa e al suo posto venne la Polizia. Ne parlarono i giornali e la mia famiglia rimase sconvolta: Rebecca era stata trovata morta di overdose qui a Capri, tutta nuda, proprio in cima a questa scogliera, dove io ho fatto mettere questa panchina. Noi non sospettavamo nemmeno che facesse uso di sostanze, ci rifiutammo di crederlo, ma alcune pagine del suo diario e una dose di eroina con gli aghi nel suo comodino non ci lasciarono dubbi. Piansi tanto, per settimane: non mangiavo, non dormivo, non andavo a scuola: mi stavo lasciando morire. Poi lei mi apparve in sonno e mi disse che se mi sarei ripreso ci saremmo rivisti. “E’ una promessa!” disse nel sogno, e così mi salvò. Mi indicò questa scogliera e il giorno in cui venirci e chiesi ai miei genitori di portarmici. Loro erano così sconvolti per le mie condizioni di salute che acconsentirono. Da allora, ogni anno, io e mia sorella ci incontriamo qui per qualche ora fino a mezzanotte, in una serata dedicata solo a noi. Non potevo parlartene: dovevi essere tu a venire e vedere coi tuoi occhi, perché altrimenti non mi avresti mai creduto. Adesso ti prego, Carla, guarda meglio qui accanto a me: ti presento Rebecca, sopra la quale poco fa ti saresti voluta sedere.>>

Carla aveva gli occhi sbarrati e il corpo tremante percorso da brividi.
Non vedeva nulla accanto a Giulio: suo marito era impazzito! Lo guardò senza dire nulla con due occhi più eloquenti di qualunque altro discorso.

<<So che cosa stai pensando. Ma ti prego, per l’amore che ci lega, per la vita che ci unisce, guarda meglio...>>
Carla chiuse gli occhi, cercando di dominare la paura. Trasse un respiro e guardò ancora.
Una strana nebbiolina sembrava addensarsi accanto a Giulio, occupando la panchina. Davanti ai suoi occhi, lentamente, si stava materializzando una figura umana dai tratti trasparenti ma definiti, che si faceva via via più nitida. Una donna nuda, dalla pelle diafana e intirizzita per il freddo, i capelli corvini che scendevano alle spalle, apparve infine accanto a suo marito, rannicchiata su un fianco, con la testa poggiata sulle ginocchia di lui e gli occhi scuri e penetranti che la osservavano.
Il terrore di Carla iniziò a dileguarsi e sparire man mano che quella donna prendeva forma accanto a lui, lasciando posto al sollievo. Si meravigliava lei stessa di quelle sensazioni piene di calore familiare, ma era come se dal corpo diafano e infreddolito di Rebecca si emanasse la pace di cui lei sentiva il bisogno.
Carla la guardò e le sorrise, poi si tolse il cappotto e adagiandolo su quel corpo minuto disse <<Piacere di conoscerti, Rebecca. Grazie di aver protetto mio marito per tutti questi anni>>.
Rebecca, scaldata dal cappotto, socchiuse gli occhi e sorrise felice, assaporando l'affetto spontaneo e premuroso di quel gesto.

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Ecency