Mio nonno

Se debbo raccontarvi una storia, tra le tante conservate nella mia mente ormai stanca, quella che vorrei ripescare è quella di mio nonno. Ma prima di iniziare vorrei soffermarmi su di lui. L’immagine che più lo rappresenta a mio avviso è lui, in pieno agosto a issarsi sulle spalle i sacchi di cemento da 20kg.

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Pixabay

“Morirò lavorando e se provate a togliermi l’orto sono sicuro che morirò” diceva sempre ai suoi figli. E i figli tra cui mia madre, non osavano certamente contraddirlo. Mai svegliare il can che dorme. Se devo scavare a fondo tra i meandri dei miei ricordi, ricordo un me stesso molto più giovane, con gli occhi vispi e la boccuccia come se fosse pitturata (citazione tratta da mia nonna), scorrazzare tra gli alberi di fico, di limoni, atterrando malamente su qualche pianta che mio nonno non voleva che io toccassi.

“Devi stare più cauto!” mi diceva in strettissimo dialetto, che solo allora sapevo. Ed in effetti ce l’aveva. L’ha sperimentato bene il mio amico dell’epoca. Un giorno invitai un mio amichetto dell’epoca a casa di mio nonno. Gli avevo decantato le bellezze dell’orto e di quanto fosse affascinante. forse non avevo utilizzato delle parole altisonanti ma a quei tempi avevo imparato la parola “terrazzamenti”, cosa che in effetti era l’orto di mio nonno. Ed era il posto perfetto per giocare a nascondino. Quindi iniziammo a giocare. Io ero ormai espertissimo di ogni anfratto che questo luogo magico offriva: alberi, piccole rientranze che mio nonno creava, cercando di coronare il suo progetto architettonico che mai avrebbe avuto fine e attualmente non ha. Ricordo ancora quando si mise in testa di fare un anfiteatro, ma poi decise di fare una piscina di pi-greco metri di diametro e poi mini-campo da golf anch’esso di pi-grecox5 m di lunghezza.
Tornando al nascondino, l’attesa e l’adrenalina di non essere scoperto passarono presto. Ero un bambino con pochissima pazienza, ma mi sembrava di non sentire il mio amico avvicinarsi. Nemmeno un rumore goffo del sandalo sul terreno. Niente. Le cicale borbottavano la loro litania pomeridiana e dopo qualche minuto decisi di arrampicarmi sulla cima del limone per spiare dall’alto cosa stesse succedendo. Nessuno arrivava. Aspettai ancora, anche se la voglia di correre a fare tana era veramente alto. Al che sentì mia nonna fare il mio nome a grande voce. Non è mai stata una donna che urlava, pertanto mi spaventai moltissimo, pensando fosse successo qualcosa di grave. Scapicollai giù dall’albero, raggiungendo mia nonna. Si presentò a me la scena più divertente che io avessi mai visto (per quel tempo). Il mio amico era ricoperto di lenticchie d’acqua (mio nonno allevava anche pesci d’acqua dolce e il mio amico era finito in uno di questi laghetti pensando fosse una sorta di praticello) e piangeva a dirotto. Era diventato un mostro della palude! Faticai a sopprimere le risate e mia nonna accompagnò il “mostro della palude” a lavarsi, mentre io andai alla ricerca di mio nonno, dato che mia nonna mi aveva ordinato di portargli l’orologio. Lo trovai al limite dell’orto, al di sotto di una piccola serra intento a trafficare con moltissima sabbia e delle carrucole.

“Cosa stai facendo?” chiesi.
“Sto costruendo un orologio pendolo” mi rispose.

Io di pendoli ne avevo visti, specie a casa del mio altro nonno, ma non mi sembrava per niente un orologio a pendolo. Mi spiegò che voleva replicare il funzionamento di un orologio a pendolo così da potersi ricordare che ore fossero. Al che gli diedi l’orologio che mi aveva dato la nonna.
Lo prese e se lo mise in tasca, poi mi guardò negli occhi e mi chiese:

“Sai cosa utilizzavano i navigatori quando dovevano fare grandi spostamenti in nave?” mi chiese. Io non avevo la più pallida idea, d’altronde avevo sette anni. “L’idea iniziale era di utilizzare l’orologio per calcolare la longitudine. Ma si resero conto che l’orologio a pendolo era una pessima idea. L’orologio veniva sballottato per colpa delle onde, gli ingranaggi si ingrandiva e rimpicciolivano al cambiar di temperatura, quindi non era mai possibile calcolare l’ora esatta. E con l’ora sbagliata si rischiava addirittura di morire!” esclamò. Poi mi mostrò l’orologio da polso che aveva messo in tasca. Era un vecchissimo Casio dorato e graffiato sul vetro. “Questo oggetto ha salvato le vite di molti, ma io, se dovessi seguire il corso di questo orologio, probabilmente ne sarei affranto”. Poi si girò e indicando l’ammasso ancora senza forma del suo personalissimo orologio a pendolo: “Questo mi aiuterà a non cogliere realmente il tempo che passa. Mi farà stare più tranquillo”. Aggiunse infine. E forse questa è l’essenza di mio nonno, un uomo che non sa accettare il tempo che passa.

Cos

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Ecency