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Caduta dei Giganti di Giorgio Anselmi

"E perché l'etere arduo non fosse sicuro più della terra,
dicono che i giganti aspirsrono al regno del cielo,
e ammucchiarono i monti fino alle stelle.
Allora il padre onnipotente scagliò il suo fulmine,
Spezzò l'Olimpo e rovesciò il Pelio da sopra l'Ossa.
Quando quei corpi orribili giacquero sotto la loro stessa
opera, dicono che la terra, madida dal molto sangue
dei suoi figli, animò il caldo sangue
e, perché restasse una qualche traccia della sua stirpe, lo convertì in figure umane."

Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 151 ss

Fra tutte, la decorazione del salone è la più suggestiva.
L'affresco dipinto nella volta inscena la "Caduta dei Giganti" e si appoggia sul paramento architettonico a finti marmi steso sulle pareti.
Dipinte in terra gialla vi sono delle figure, reggenti un vaso, adagiate sui quattro frontoncini che sormontano simmetricamente le porte e le finestre e, a monocromo verde, entro cornici di stucco, le divinità dell’Olimpo: a nord "Venere" e "Mercurio"; a ovest "Cerere"e "Pan"; a sud "Giunone" ed "Ercole"; a est "Minerva" e il "Tempo".
Il soggetto della Gigantomachia, reso celeberrimo da Giulio Romano nella Sala dei Giganti a Palazzo Te, è attinto dalle Metamorfosi di Ovidio, da tempo consacrata a bibbia della pittura profana dell'occidente.