FRATTURA

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Quale pensate possa essere il peggior trauma che la nostra psiche sia disposta a tollerare? Indagate nel vostro passato alla ricerca di una risposta, e allora vi sovviene un altro interrogativo: credete sia più angosciante il dolore che il tempo non è riuscito a mitigare o sia invece più insopportabile essere pregiudicati da un nefasto evento e inabili di riuscire a rimanere nel presente attuale. Restate inghiottiti nelle sabbie del tempo mentre pensate ai più profondi squarci che hanno dilaniato la vostra mente. Non mi riferisco assolutamente ad un misero trauma infantile di un banale annuncio fatto la notte di Natale, in cui il caro vecchio San Nicola ha scelto di farti dono di un divorzio. Intendo ferite che il tempo difficilmente guarisce, il tuo emisfero rimane scisso e dentro quella frattura c’è un ricordo che continuamente imperversa e rovina il momento che stai vivendo. Questo nel tempo si evolve, muta se sei più sfortunato in peggio, e se la fortuna decide di essere beffarda è così repentino che la fatica per superarlo è immane.

Vi parlerò di Jeff.

La sua tenera età passò molto in fretta, tra giubilo e serenità. Casa sua era il simbolo della purezza, ogni angolo traspirava pace e quiete, una famiglia tanto legata che sembrava copiata da una trasmissione televisiva, una sit-com a basso contenuto che rende le persone più appagate dei lati positivi della loro vita. Jeff viveva la vera essenza di un legame familiare, erano tanto profondamente legati che se uno di loro fosse precipitato nell’oblio gli altri l’avrebbero seguito a catena. Spezzare la loro unione era impossibile, solo la morte può avere un potere tanto grande da recidere il filo che li trattiene saldi l’uno all’altro.

Era il sedicesimo compleanno di Jeff, un giorno che lui si sforzerà di dimenticare senza successo. Lui si svegliò in estasi, quel giorno coronava il suo passaggio dalla vita infantile a quella adulta, un rito che tutti superiamo prima che ci dicano che i diciotto anni sono il vero traguardo per essere completamente slegati dal nostro vincolo parentale. Cadde sul pavimento tanta fu l’enfasi delle sue contorsioni di gioia, si rialzò con un impeto tale da schiantarsi contro l’anta dell’armadio che sostiene lo specchio, che quasi si staccò minacciando di ribaltarsi sul pavimento; non desiderava sfortuna quel giorno. Di fronte alla superficie riflettente s’impettì, un pavone tronfio che mostra le sue piume. E nessuno, nessuno poteva rubargli quel momento di sicurezza, di consapevolezza che la sua vita sarebbe completamente cambiata… In meglio. Si cambiò così rapidamente da non accorgersi di aver indossato calze e scarpe di paia diverse, ricordava vagamente un clown mentre scendeva lungo le scale. Non si accorse nemmeno di aver le stringhe slacciate che svolazzavano ad ogni passo che faceva, finché non anticiparono il suo piede e si ritrovò a capitombolare sugli ultimi gradini della rampa. Si riprese subito, si riassestò e si chinò per allacciare le stringhe, e quindi riprese a correre verso la cucina per tenere una matura e sincera colazione da adulti, persone distinte che si riuniscono intorno ad un tavolo e conversano con tono sobrio del più e del meno. Chiacchiere da salotto davanti ad un bicchiere di latte caldo. Era una giornata invernale, la più nota al mondo, la vigilia di Natale. Elaine, la madre di Jeff, cercò di resistere ancora un giorno trattenendolo a forza nel suo utero, ma non fu in grado di farlo nascere in quel giorno santificato per farlo vivere per sempre nella felicità e nell’amore, un miracolo del cielo se vogliamo spingerci verso la religiosità dei suoi intenti.

Jeff curvò l’angolo per orientarsi verso la cucina e davanti alla porta rallentò il passo fino ad assumere un’andatura spavalda. Raggiunse il tavolo e fece slittare una sedia in suo favore per potersi accomodare e assaporare la sua colazione di compleanno. Continuò a squadrare i suoi genitori intanto che si adagiava sulla sedia. Quando distaccò lo sguardo per posarlo sulle leccornie che lo aspettavano, si accorse che il suo piatto era vuoto, anzi non c’era nemmeno il piatto. Fu ad un passo dal cedere, comportarsi come un bambino lamentoso. Poi ritornò in sé, si diresse sui fornelli e si preparò la colazione più disgustosa che lui abbia mai mangiato, nulla era sfuggito dall’abbrustolimento. Mangiò carbone come colazione del suo sedicesimo compleanno, ma lo fece con gusto. Finì in meno di un minuto tutto quello che aveva nel piatto, lasciò lo spazio per deglutire alla fine del pasto, anche per evitarsi il senso di nausea che gli avrebbe dato altrimenti. Allo schiocco della sua epiglottide scoppiò una risata unica che rimbombò in tutta la stanza, si sbellicarono tanto da arrivare alle lacrime. La madre, in segno di rispetto gli allungò un pancake, ed iniziarono i veri festeggiamenti.

Quella fu la mattina più significativa che abbia mai vissuto, mai come quella mattina lui si senti così umano, intriso di ogni possibile sensazione, felicità, nostalgia, timore, coraggio. Ed è ancora così, nonostante l’epilogo drammatico.

Nel pomeriggio i festeggiamenti si spostarono nei vicoli della città, attraverso la vasta fila di chioschi che ricordavano l’avvenimento del giorno a venire, il Natale. Si aggirarono per le bancarelle senza l’intento di comprare qualcosa, ma venivano sempre abbindolati da qualche cianfrusaglia priva di ogni utilità. Jeff roteava dalla gioia mentre passava da una bancarella alla successiva. Osservava tutto ciò che c’era intorno, e vedeva con la coda dell’occhio i suoi genitori che felici come lui si tenevano abbracciati e si baciavano innocentemente, un quadretto molto commovente. Nel ritorno a casa Jeff iniziò a saltellare come un bimbo allegro, al che i genitori per partecipare alla pantomima lo afferrarono ciascuno per una mano e iniziarono a dondolarlo avanti e indietro nel tentativo di fargli prendere il volo. All’inizio lo divertì moltissimo, si sentì ancora una volta bambino con i suoi genitori che gli trottavano accanto, ma ben presto riacquistò la consapevolezza di essere cresciuto. Imputò i piedi e strappò le mani dalla presa dei suoi genitori, non accorgendosi di essere rimasto sul marciapiede mentre sua madre e suo padre si ritrovarono in strada. Quell’immagine rimarrà per sempre cristallizzata nella sua memoria, un ricordo che si è esteso come un tumore nella sua mente e che piano piano lo farà soffrire sempre di più fino al tracollo. Appena lasciata la stretta dei suoi genitori un’auto a gran velocità li travolse di netto; l’attimo prima erano di fronte a lui, quello successivo erano scomparsi. I loro corpi erano stati trasportati qualche centinaio di metri più avanti. Nessuno seppe mai chi fu quell’uomo, ne quale fosse realmente la dinamica dell’incidente, l’unica cosa che si sa per certo di quel giorno è che Jeff non riuscì più ad uscirne, rimase intrappolato nella paura che il mondo esterno fosse troppo pericoloso per viverci accostata al forte dolore che provò nel suo petto quando il cuore andò in frantumi. Il suo intero mondo si fratturò quel giorno, una ferita che neanche il tempo è stato ancora in grado di richiudere.

Non avendo nessun altro al mondo, nessuno che potesse accogliere orfani, intervenne il sistema giudiziario inviando i servizi sociali a decidere il da farsi. Jeff venne affidato alle cure di una casa famiglia molto distante dal nostro quartiere e io, un bimbo ancora in fasce lasciato a casa con la babysitter mentre i miei genitori venivano tranciati da un pirata della strada, io finì in una casa veramente accogliente con degli affidatari così affettuosi e puri di cuore che quasi mi ricordavano i miei genitori naturali, e il tempo in quella casa trascorse così rapidamente che non mi accorsi neanche di aver raggiunto la maggiore età. Fu quel giorno, il giorno del mio diciottesimo compleanno, che mi rivelarono la verità, che mi misero al corrente di cosa ha causato l’unione della mia attuale famiglia. Scoprì di essere stato adottato, anche se già avevo molti sospetti a riguardo, e conobbi la cruda realtà di quanto successe ai miei genitori naturali, e con esso il fatto di avere un fratello.

Mi ricordavo di Jeff, un’immagine distorta del passato di un neonato che nel tempo si è sempre più sfumata. Perciò ho preso la decisione di andarlo a conoscere, anche se nessuno sapeva darmi informazioni su quale fosse il suo attuale domicilio. Iniziai a chiedere ai miei genitori, spulciai l’elenco per trovare qualcuno che potesse essermi utile. Infine, attraverso le mie indagini, trovai una clinica in cui rimase in ricovero fino a sei mesi fa. Mi diressi in quel luogo per ricavare il suo indirizzo attuale, poiché i dati sensibili di una persona non possono essere rivelati al telefono. Mi comunicarono dove risiede ora Jeff, e dei disturbi che lo opprimono così tanto da non riuscire ad avere una sana vita relazionale, con nessuno. Dopo i ringraziamenti mi diressi di volata alla casa, la casa dove entrambi abbiamo vissuto la nostra felice infanzia in cui ora albergano solo tristi e dolorosi ricordi.

Fare ritorno alla strada in cui abitavo mi ha riacceso qualche ricordo, rivedere l’esterno della nostra casa precedente mi ha commosso. Non so come ho fatto a ricordarlo, ma da allora ad adesso non è cambiato nulla di quella casa. Il colore bianco della facciata è sempre identico, tranne alcuni buchi sparsi lungo il muro che sono stati originati dal tempo; il parco giochi che nostro padre ci aveva costruito è ancora integro e si muove ancora sotto la spinta del vento, anche se quella ferraglia cigola in un modo così irritante che vorrei scardinare ogni singolo gioco. Dopo un leggero attacco di panico ho preso un profondo respiro e mi sono diretto verso la porta di casa, e ho suonato il campanello. Nessuna risposta. Ho provato sbattendo il chiavistello. Ancora nessun passo che si dirige verso la porta, un silenzio tombale. Ad un tratto, mentre ero in procinto di avviarmi perse ormai le speranze, ho sentito una voce sussurrarmi: “Chi sei?”. Sapevo che era Jeff, anche se la sua voce è cambiata negli anni e il mio ricordo della sua intonazione è svanito col passare del tempo, sentivo dentro di me che era mio fratello che mi stava domandando chi io fossi. Risposi di getto, spiegandogli ogni singolo avvenimento di quei giorni e lo shock che mi sono trovato ad affrontare riguardo alla nostra famiglia. Non sono riuscito a completare il mio racconto che Jeff ha spalancato la porta dinnanzi a me, mi ha afferrato con tutta la sua forza e mi ha strattonato dentro casa. Appena richiusa la porta si è accovacciato a terra, un comportamento bizzarro che mi ha destato sospetti. In clinica mi avevano avvertito dei suoi problemi senza scendere nei dettagli, perché devono difendere la privacy del paziente.

Mi sono seduto di fronte a lui e abbiamo passato la prima giornata in cui ci siamo ritrovati a guardarci, o meglio io lo guardavo mentre lui tutto tremante fissava il pavimento. Ho cercato di entrare in contatto con le sue emozioni, ma senza successo. Mi sono autoinvitato a dormire nella mia vecchia casa, d’altro canto Jeff non riusciva a parlare; forse rivedermi ha riportato alla mente il trauma che ha subito, e tutta l’ansia che ne è derivata l’ha ammutolito. La troppa tensione l’ha fatto addormentare sulla soglia, allora l’ho caricato di peso e portato nella sua vecchia camera. Tutto in questa casa è rimasto identico a quando sono stato costretto a lasciarla, per quanto io mi ricordi. Ha subito solo un piccolo cambiamento, tutti i muri non portanti sono stati abbattuti. Io mi sono rifugiato nella mia vecchia camera, il letto a malapena riusciva a contenermi perciò mi sono accontentato del pavimento e di una coperta.

L’indomani sono stato svegliato di soprassalto da urla provenienti dalla camera di Jeff. Stordito com’ero mi sono diretto a tentoni per raggiungere il suo letto, e l’ho trovato lì immerso in un bagno di sudore. Piano piano ha iniziato a parlarmi, ad aprirsi. Mi ha riconosciuto, ha capito che di me poteva fidarsi, poteva aver fiducia nel suo fratellino.

Parlava tra un singhiozzo e l’altro e mi descriveva cosa vedeva nella sua mente. Quel giorno fatale, il suo sedicesimo compleanno, continuava a ripetersi e ripetersi nella sua mente senza mai lasciarlo libero. Non era in grado di uscire di casa, ad ogni tentativo rimaneva schiacciato da quei ricordi opprimenti che lo costringevano a terra, tutto raggomitolato dal terrore. Agorafobia, il timore ossessivo per gli spazi aperti. Questo era solo parte dei suoi problemi. Scavando più a fondo scoprii un altro trauma, che l’aveva segnato in modo indelebile, rendendo la sua vita impossibile da sostenere. Mi chiedo che forza d’animo debba avere mio fratello per essere ancora cosciente dopo tutto il dolore che ha provato, l’indole umana è davvero proiettata al sopravvivere a qualsiasi costo. Mi ha raccontato della casa famiglia dov’è stato rinchiuso dopo la morte dei nostri genitori, delle torture a cui erano costretti lui e gli altri orfani che vivevano lì dentro. Una casa di psicopatici aveva ospitato il mio povero fratello maggiore, ma purtroppo i servizi sociali ne vennero a conoscenza troppo tardi quando alcuni dei bambini stanchi delle agonie a cui erano sottoposti trucidarono quei due mostri che lì imprigionavano. Letteralmente. Li rinchiudevano in una cassa di legno, di poco simile ad una bara, ma con dei chiodi fissati sul coperchio e sui lati, costringendoli ad una totale immobilità per delle ore. Non erano in grado di muoversi, perché se lo facevano venivano trafitti da quegli spuntoni arrugginiti. Inutile dire che in mio fratello, già traumatizzato, quella sofferenza non fece altro che allargare la voragine nella sua psiche. Si aggiunse la claustrofobia, timore ossessivo degli spazi stretti.

Non poteva vivere fuori casa, ma a difficoltà riusciva a rimanervi dentro. Era scisso in tre parti, due delle quali lo forzavano a non fare ciò di cui avevano più paura e la sua mente si affaticava così tanto da indurlo a continui stati di sonnolenza. Dormiva tre, quattro volte al giorno. A questo proposito è rimasto in clinica così a lungo, e n’è uscito con qualche miglioramento anche indotto da tutti i farmaci che gli hanno prescritto. Stabilizzatori dell’umore che gli evitavano di accedere a quei ricordi ansiogeni.

La strada per il recupero però è ancora molto lunga.

Vivo insieme a lui oramai da cinque anni, e con me è riuscito a fare enormi progressi. Ha interrotto alcuni farmaci che erano solo un peso che lo affaticava senza alcun bisogno effettivo, riesce a dirigersi senza quasi nessun problema alla fine del vialetto per salutare i vicini che sono a conoscenza delle sue difficoltà e che lo sostengono ogni volta. Stare dentro casa, ora, non è più per lui fonte di stress. Riesce a convivere con sé stesso finalmente, non esistono più emisferi separati dentro la sua mente, tutto si è risaldato in un'unica linea di pensieri, ogni ricordo sta piano piano acquisendo lo stesso peso. Ogni tanto scoppia ancora in crisi isteriche, ha ancora incubi ricorrenti ma che si sono di molto attenuati rispetto alle prime volte che gli ero accanto.

L’essere umano è in grado di superare ogni trauma, perché l’attaccamento alla vita è troppo forte per essere sradicato da un avvenimento nefasto. Certo, non è una legge universale, c’è chi non è tanto forte da resistere a tutto questo, ma non si tratta sicuramente di mio fratello. Lui permane, anche se vacillando, sulla via della guarigione. Ciò che lo motiva non è rimanere vivo però, ma una promessa che fece molto tempo fa ai nostri genitori e che ora è deciso ad onorare.

Vedete, non vi ho rivelato tutto del giorno che ci siamo incontrati. Una coincidenza cosmica ha voluto che io bussassi alla porta nel momento più opportuno, mio fratello stava per togliersi la vita. Quando mi fece entrare notai che teneva tra le mani una pistola col colpo già in canna. Sapere chi aveva di fronte fece desistere Jeff, per ciò che promise ai nostri genitori il suo sedicesimo compleanno: “Sì, mi prenderò sempre cura del mio fratellino, Nathaniel, gli eviterò ogni sofferenza, lo aiuterò quando necessiterà di me e rimarremo legati qualsiasi cosa accada. Ora possiamo andare a prendere una cioccolata calda?”.

Sarà un messaggio banale, ridondante, ma ciò che mantiene l’uomo vivo è la sua capacità di provare sentimenti forti, di qualsiasi natura essi siano. Chi non riesce a sopravvivere, a restare in vita, è perché ogni emozione gli è stata cancellata e lui rimane vuoto, immagine residua di ciò che era ma senza più futuro. Mio fratello mi ha ritrovato, e la fiamma del suo spirito si è riaccesa, e ora risplende di fronte a me, accecante.

Io amo Jeff, il mio dolce e generoso fratello, e ora che l’ho ritrovato non lo abbandonerò mai più.

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